Si tranquillizzino, i milanesi e gl’italiani che amano l’arte. Brera, istituzione artistica e immagine d’eccellenza della città da quando l’imperatrice Maria Teresa d’Austria volle farne sede di alcuni dei più avanzati istituti culturali della città (Pinacoteca, Accademia di Belle Arti, Biblioteca Braidense, Osservatorio astronomico, Istituto lombardo di Scienze lettere ed arti, Orto botanico), da decenni (!) oggetto di un’ambiziosa intenzione civica: diventare la “Grande Brera” per adeguarsi ai tempi, non si farà. Crisi di soldi, governance suddivisa e rivendicazioni varie (tipico della mano pubblica italiana) limitano il progetto, obbligando i cittadini cultori dell’arte e del bello a contentarsi del… bicchiere mezzo pieno. Perché, a onor del vero, qualcosa d’importante si fa (farà). Parola del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, Caterina Bon Valsassina, che nella conferenza stampa del 11 dicembre ha annunciato come grazie a 23 milioni di euro ricavati dallo stanziamento di fondi Cipe “a favore di interventi prioritari nel settore dei beni e delle attività culturali – sedi museali di rilievo nazionale” (un quinto dei costi di realizzazione dell’intero progetto “Grande Brera”, valutato con stima di larga massima in 108 milioni di euro per i lavori del Palazzo di Brera, di Palazzo Citterio e del campus dell’Accademia di Belle Arti nell’ex caserma di via Mascheroni) sia possibile ora prevedere la pubblicazione di bandi di gara per opere immediatamente cantierabili. Di fatto i (pochi) quattrini disponibili saranno ripartiti su tre lotti funzionali di lavori riguardanti tutti i tre i complessi architettonici d’interesse: 4,5 milioni di euro per la progettazione del Palazzo di Brera (tempo d’esecuzione: 18 mesi dalla consegna dei lavori); 17 milioni per la progettazione definitiva, esecutiva e lavori di restauro di Palazzo Citterio (24 mesi) e 1,5 milioni di euro per rilevamento e indagini diagnostiche delle caserme destinate al campus didattico dell’Accademia (18 mesi). Questo progetto, del resto, è ciò cui realisticamente è possibile aspirare. Se le cose si faranno, Milano guadagnerà un importante palazzo per la pinacoteca, la stessa Brera potrà garantirsi lavori indispensabili di manutenzione, forse l’Accademia avrà il suo campus (anche se l’avversione a trasferirsi da parte del suo corpus è tangibile). Dopo? Si vedrà. Come si vede, è difficile parlare di start up della “Grande Brera”. Che richiederebbe la presenza – effettiva ed efficace, nella lingua del marketing – di un commissario straordinario in grado di conciliare aspirazioni valutazioni e rivendicazioni degli organismi statali e parastatali attuali “governanti” di Brera (c’era: il bocconiano Mario Resca). E di sollecitare la partecipazione di sponsor privati al progetto, non solo fondazioni bancarie, capaci di ridar vita allo “spirito illuminato imprenditoriale e borghese milanese dei primi anni del secolo scorso”. Sperèmm.