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“L’ITALIANA IN ALGERI”

“L’italiana in Algeri”

dramma giocoso in due atti 

libretto di Angelo Anelli

musica di Gioachino Rossini

sul palco del Teatro Regio di Torino da Domenica 09 Giugno a Mercoledì 19 Giugno 2013

 

Nel 1805 alcuni giornali milanesi scrivono articoli sul rapimento della signora Antonietta Frapolli, caduta nelle mani dei pirati algerini che depredano i vascelli europei anche in cerca di giovani fanciulle da vendere come schiave ai vari potenti della regione.

Angelo Anelli prende spunto da questa storia per scrivere il libretto che nel 1813 Gioachino Rossini mette in musica per il teatro San Benedetto di Venezia: ed è subito un grande successo.

 

Atto primo

Scendo in palco qualche minuto prima dell’inizio; mi piace respirare quest’aria densa di parole e controlli alle luci, a volte l’odore dei colori ancora vivo mentre si prepara l’attrezzeria sui tavoli e in mezzo al turbinio di voci distillare i brevi attimi di quiete in cui c’è solo polvere e concentrazione.Vestito in tinte pastello, con un fez chiaro che stringe la testa, sono in piedi accanto al tavolo ingombro di panni da stirare, un vecchio ferro da stiro a carbonella appoggiato su giacche e camicie stropicciate e, mentre il sipario si alza, la scena si popola di turbanti immacolati trionfanti su teste d’eunuchi e servitori, un tripudio di petti nudi, di pelli rosate e tese di uomini accaldati, rilassati e paciosi appena usciti dai bagni di vapore.

Noi invece, servitori vestiti di tutto punto, sorvegliamo la stiratura dei panni da parte della moglie del Bey Mustafà, ora venuta a noia al potente marito.

Sghignazzando ricordiamo a tutte le donne dell’harem che qui le donne nascono solo per servire i maschi quando giunge improvvisamente il Bey in ciabattine bianche e pareo annodato sui fianchi; allora tutti tremanti ascoltiamo la disperata moglie reiterare dichiarazioni amorose al burbero consorte che si sente flagello e conquistator di donne e non sa più che farsene di lei.

Al cenno del Bey usciamo di scena in fretta per diventar corsari: quasi una corsa verso il terzo piano dove, sotto tubi pieni di neon ritrovo la mia sedia davanti allo specchio, i mezzi stivaletti scuri e l’abito da predone di mare appeso al mio posto.

Sulla scena intanto il Bey Mustafà decide di dare in sposa la propria moglie a Lindoro, uno schiavo italiano che gli è molto simpatico e, al posto d’Elvira, attuale e sfortunata moglie, ordina al capo dei corsari Haly di portargli una focosa donna italiana, che si favoleggia esser più ribelle e meno noiosa delle sottomesse donne locali.

Lindoro cerca di evitare questo matrimonio perché innamorato d’una ragazza italiana, Isabella; ma alla fine deve accettare il ricatto se vuole tornare libero in Italia.

Intanto Isabella,non avendo da tempo notizie di Lindoro, si è imbarcata per cercarlo e caso vuole che venga rapita proprio dai corsari di Haly, che decidono di donarla a Mustafà.

Mi sono appena infilato i pantaloni a palloncino e la maglietta nera dei pirati che con due baffi lunghi e ricciuti attaccati sotto il naso ritorno alla grata traforata a lato del palco, impugno una sciabola di legno che sembra vera e al cenno del maestro entro con tutti gli altri corsari sul palco, le armi volteggiano in aria, inebriati dal bottino e dalla bellissima italiana rapita.

Frughiamo nei bauli dei prigionieri e infilziamo le colorate mutande di Taddeo, un innamorato non corrisposto di Isabella che si presenta come zio della ragazza per sfruttare l’ascendente che lei certamente avrà sul Bey. Appena il coperchio d’un baule si chiude sulle mani d’un di noi troppo curioso, condividendone il dolore scappiamo dalla scena nella penombra del retropalco verso il camerino a liberarci il naso dai baffi e  rivestire i panni del servo color pastello, pronto per accogliere nell’Harem la giovane italiana catturata. Già, perché il Bey vuole presentarla alla corte e mostrarci come egli sappia conquistar l’amor d’ ogni donna, anche di quelle più altere.

Intanto, dietro grandi cuscini colorati, in pantaloni gonfi come anfore, le babbucce ai piedi e coroncine di fiori multicolori sulla testa, a passetti veloci e ridendo tra loro, alcuni colleghi sembrano policromi bambolotti o bipedi confetti giganti: ecco gli eunuchi dell’ Harem. Inginocchiati sui loro cuscini, inorriditi o annoiati da Isabella, sonnecchianti davanti al Bey che cerca di conquistarne l’amore, lui si già invaghito cotto, o addormentati per l’ultimo saluto di Lindoro ed Elvira recalcitranti e carichi di valigie in partenza per l’Italia. Appena si vedono Lindoro ed Isabella si riconoscono immediatamente e con arte psicologica sopraffina Isabella convince il borioso Mustafà a non ripudiar la moglie e ad affidarle Lindoro come schiavo:l’incredibile situazione sorprende tutti e comincia un finale d’atto travolgente. La guardia di palazzo che insegue Taddeo per impalarlo con un “palo” portatile dotato d’astuccio a tracolla e poi nuotatori in cuffia nera e slip primo novecento che si sbracciano alle nostre spalle e surfisti statuari sulle onde davanti al palazzo d’Algeri. Come se fosse una torta vocale a lenta lievitazione le voci s’annodano, s’intricano a versi d’animali e colpi di cannone tra i cervelli impazziti e nella confusione universale dentro il palazzo una pioggia di cuscini d’eunuchi seppellisce i protagonisti e la loro follia.

“20 minuti d’intervallo, cambio scena!” annuncia il direttore di palcoscenico. Gola secca e ora tarda mettono in fila eunuchi e maestri collaboratori, professori d’orchestra e soldati del Bey davanti ai distributori automatici e gelati e biscottini subiscono gli attacchi peggiori: dopo pochi minuti di frenesia alimentare si notano molti spazi vuoti in quelle file ordinate di confezioni lucenti.

 

Atto secondo

Elvira, infelice moglie di Mustafà, è rimasta in Algeri,anche lei dentro un pareo bianco e adagiata sul lettino di bellezza;le massaggio spalle e braccia mentre intorno servi accaldati e colleghi divertiti a torso nudo riempiono la scena di passi leggiadri e di smorfiette ambigue. Si parla un po’ in sordina del cambiamento di Mustafà, instupidito dall’amore per Isabella e che vorrebbe conquistarla anche tramite Taddeo, che lui crede esser lo zio. Desidera farsi ricevere da Isabella per bere un caffè a quattr’occhi.

Intanto Taddeo irrompe in scena inseguito dall'”amico del palo” che non gli concede tregua: ma ora la fuga è finita perché il Bey vuole nominarlo Grande Kaimakan (che vuol dir luogotenente). Come militari disposti su quattro file entriamo a render omaggio a Taddeo che, confuso come sempre, cerca di rifiutare l’alta carica. Mustafà allibito e contrariato manda alcuni alla ricerca d’un palo enorme e quando questo entra in scena trasportato dalle guardie dal pubblico sento risate di sorpresa e applausi divertiti che coprono anche la musica, mentre il timoroso Taddeo improvvisamente accetta la carica di Grande Kaimakan, inseguito da mille mani che vogliono ghermirlo o accarezzarlo.

Intanto la strategia d’Isabella per sfuggire al Bey procede: gli fa credere di volerlo nominare Pappataci, che in Italia è un titolo d’altissimo onore riservato ai più grandi amatori del gentil sesso. Estasiato dal nuovo titolo Mustafà accetta di liberare i prigionieri italiani perché possano partecipare alla festa voluta da Isabella, mentre in segreto alcuni di loro andranno al porto con una nave per caricare gli altri e tornare in Italia,mentre alle guardie saran distribuiti liquori in abbondanza.

Seduto sugli scalini appena fuori dalle quinte con le scarpe di cuoio piatte come pinne da sub,con questa vecchia cuffia sfilacciata e rimboccata ai lati del cranio; così rimango qualche minuto con altri colleghi, noi viaggiatori italiani catturati dai corsari di Haly e ora liberi per merito d’Isabella, che fa andare il Bey d’Algeri fuor di senno.

Cerchiamo in un grande scatolone il bastone più adatto,la nostra arma per fuggire fino al porto, mentre le luci caldissime dall’ altra parte del palco ricamano arabeschi fioriti d’ombre tra le cancellate di legno.

M’accorgo di stare accanto alla carriola che verrà usata in un’altra opera e che una giovane scenografa sta dipingendo di rosso con corte pennellate, i gesti morbidi e precisi, capelli lunghi e neri sul viso.

Entriamo in scena uno dopo l’altro, quasi confusi, come se fossimo appena usciti da buie prigioni e lo schiaffo della luce vivida negl’occhi ci rendesse quasi ciechi e pieni di meraviglia per le sale sontuose del palazzo. Dall’alto scende velocemente una grata che rappresenta la nostra prigione, infilo le dita tra le sbarre cercando le mani d’Isabella che arriva di corsa per abbracciare Lindoro. Cantiamo la nostra fierezza di combattenti e di patrioti, poi,come inseguendo un richiamo lontano, attorno alla vecchia bandiera d’Italia ci sembra d’entrare nel famoso quadro di Delacroix “La Libertà che guida il popolo”. Applausi e fuga con scatto,le sarte aspettano ai carrelli per un cambio velocissimo: riposta la berretta strappata indosso il cappello da cuoco e un  grembiule lungo fino alle caviglie. Ecco la congregazione dei Pappataci che deve sancire l’ingresso di Mustafà nelle file degli eletti. Ora le armi sono forchettoni e mestoli mentre un profumo di cipolla soffritta invade la scena, qualche morso ai pezzi di pizza bianca che un cuoco vero in versione confetto ci distribuisce mentre l’acqua per la pasta comincia a bollire sul fornello della cucina appena entrata in scena. Il rituale inizia e Mustafà ripete il giuramento d’ammissione: “di veder e non veder, di sentire e non sentir, per mangiare e per goder di lasciare e fare e dir”. Arriva Isabella con un piatto di tagliatelle che il Bey si butta ad inforcare mentre noi, gettati cappelli da cuoco e grembiuli, aspettiamo la nave vicino al mare di plastica lucida del fondale. Il piano di fuga di Isabella riesce e le guardie ubriache non possono intervenire,anche se chiamate da Mustafà quando s’accorge d’esser stato preso in giro. Alla fine, minacciato da noi con pugni alzati s’arrende all’amore della moglie e le giura “Mai più italiane!”

Un cammello con gambe e scarpe entra in scena mentre salutiamo Isabella e Lindoro che partono felici.

Prima lo scroscio d’applausi,poi gli inchini di rito e le luci cilindriche accese in sala. Chiuso il sipario corro a cancellare le linee di trucco nero intorno agli occhi: Isabella, Lindoro e Mustafà abbandonati tra batuffoli di cotone e lo struccante, muti fino alla prossima replica.

 

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