QUEL WELFARE CHE VIENE “DAL BASSO”

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immagine di Giampiero TorinoIl vecchio caro welfare, il sistema sociale che dovrebbe garantire a tutti i cittadini la fruizione dei servizi sociali  indispensabili,  sembra essere in via di estinzione. Le risorse pubbliche riescono sempre meno a soddisfare i crescenti bisogni dei cittadini. Nel 2025, secondo una stima effettuata da Accenture e Oxford Economics (di cui dà recentemente notizia La Repubblica) in Italia ci sarà un gap tra la domanda di servizi sociali e l’effettiva disponibilità di risorse pubbliche di circa 30 miliardi di dollari.

Se il cielo isituzionale è perturbato da nubi nere e angoscianti, a terra, tra la gente, si è sviluppato un intenso fenomeno sociale di salvamento. Da qualche tempo si son viste emergere “dal basso” delle pratiche spontanee di solidarietà, che mettono in luce la capacità civica di reagire in mancanza di risposte da parte delle istituzioni. Pratiche urbane che sono sì il segno del bisogno determinato dalla crisi, ma anche il sintomo di un cambiamento dei modelli di socialità.

Un esempio sono le Banche del Tempo, realtà diffusesi a macchia d’olio negli ultimi anni. Cosa sono e come funzionano? Si tratta di  associazioni senza scopo di lucro di reciproco scambio. In pratica sono “istituti di credito” dove non si deposita denaro, bensì della disponibilità di tempo a barattare prestazioni in base alle proprie capacità e competenze.  Le associazioni fanno da collettori, ovvero agiscono da centri di raccolta della domanda e dell’offerta del tempo. Da ciò si deduce che stiamo parlando di attività di collaborazione e non di volontariato. Di conseguenza, la solidarietà che circola nelle Banche del Tempo è reciproca e alla pari. “Il tempo scambiato è misurato in ore e l’ora è di 60 minuti per tutti (al di là della tipologia di prestazione)”, sottolineano dalle associazioni: quindi il baratto del servizio o dei saperi è aperto a tutti. Chi riceve un servizio non deve necessariamente renderlo a chi l’ha offerto, ma il “debito” potrà andare a vantaggio di qualsiasi altro associato. La gestione delle ore viene contabilizzata dalla Banca.http://www.associazionenazionalebdt.it/

 

Un altro esempio  del fenomeno è il cohousing, un nuovo modo di abitare, dove parte degli spazi e dei servizi sono condivisi tra persone che hanno progettato insieme una comunità residenziale. Il cohouser può condividere più servizi, come, per fare qualche esempio, un micronido per i bambini, un orto, un living condominiale, un servizio di car sharing. Questa realtà in altre parti del mondo non è di certo una novità. Il cohousing nasce in Scandinavia negli anni 60 e oggi è diffuso specialmente in Danimarca, Svezia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone.
Le motivazioni che conducono a questa scelta di vita sono più di una. Innanzitutto l’evidente abbattimento dei costi di gestione, ma  anche il desiderio di ritrovare dimensioni perdute di socialità e solidarietà, quelle pratiche di buon vicinato (vicinato elettivo) che fanno contare sull’aiuto reciproco. Che significa abitare in maniera più sostenibile, privilegiando le relazioni e lo scambio di tempo e competenze, fruendo di benefici di natura ecologica e sociale, recuperando  più tempo libero, migliorando così la qualità della propria vita.

Altra  nuova frontiera del risparmio sociale è quella dei GAS -Gruppi di Acquisto Solidale- costituiti da persone (organizzatesi spontaneamente) che acquistano all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune e li ridistribuiscono fra di loro. La selezione dei fornitori viene effettuata in base a criteri etici, solidali, sociali e ambientali. I prodotti acquistati sono locali (a km 0,  per ridurre l’impatto ambientale causato dal trasporto della merce, per favorire la conservazione delle tradizioni locali e per incentivare l’attività dei piccoli produttori) o prodotti nei paesi in via di sviluppo; sono biologici, ecologici ed ecocompatibili e gli imballaggi utilizzati per il trasporto sottostanno alla pratica del riciclo. Nei gruppi  d’acquisto vige anche una turnazione dei compiti (ordine e ritiro della merce). Il termine “solidale” distingue i  GAS dal gruppo d’acquisto tout-court, che può non presentare connotazioni etiche, ma essere solo un sistema di risparmio.

Fra i fenomeni nati contro la crisi vanno citati anche gli orti urbani, sociali o collettivi. In realtà questa pratica conta una lunga tradizione. In Italia, a Torino ad  esempio,  si vedevano già negli anni cinquanta i primi orticelli nelle periferie, coltivati da immigrati dal meridione come misura di sussistenza e tradizione al lavoro della terra. Tant’è vero che la città, più di vent’anni fa, emanò un regolamento apposito per fermare l’abusivisimo ed incentivare gli orti urbani in modo disciplinato. Si tratta di appezzamenti di terreno ai margini delle città destinati alla produzione di frutta, verdura, fiori e ortaggi che non sono di proprietà di chi li coltiva, ma in genere sono assegnati dai Comuni  a chi li richiede, ottenendo un vantaggio per tutti: per il  cittadino (che può prodursi frutta e verdure fresche), sotto l’aspetto sociale (perchè il fenomeno “può creare interazione tra le persone e un maggiore senso di appartenenza al territorio, che si riflette in una maggiore attenzione al contesto urbano allargato”). Inoltre, l’orto urbano può avere una  funzione di controllo contro il degrado e di miglioramento dell’impatto estetico.

 

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