Impossibile non prestare attenzione, impossibile non osservare, ammirare, magari anche acquistare il frutto del lavoro di chi, dopo aver commesso errori che hanno comportato l’esclusione dal consesso sociale degli uomini cosiddetti “liberi”, sta cercando di compiere la scelta più difficile: rimettersi in gioco, riproporsi – prima di tutto a se stesso/a – in una veste nuova, ricostruita attraverso l’umiltà e la continuità della fatica quotidiana, il cui rifiuto sta spesso alla base dell’errore originario e del carico conseguente di dramma e dolore, rabbia e sofferenza che ciascuno si porta dentro tra le mura di un carcere. Ma qui, nella luce ovattata delle serre, tra le file di vasi e piante che limitano la visuale a uno spazio ristretto, mascherando muri e cancellate dietro una gradevole cortina verde, con l’odore denso e umido della terra a riempire i polmoni, si può veramente provare a pensare di essere “altrove”, immaginando frammenti di una vita diversa, che non è ancora stata ma forse potrebbe essere, una vita in cui impegno e fatica siano in grado di generare dignità e serenità quotidiana. Gli esperimenti di orti, giardini e vivai nelle case di detenzione si moltiplicano in paesi come Francia e Olanda dove è forte la cultura del recupero, in primis delle energie umane disperse, ed è grande la fiducia nel potere rigenerante delle attività connesse alla cura del verde, ma stanno prendendo piede anche in Italia, con alcuni fiori all’occhiello – è proprio il caso di dirlo – tra cui certamente il carcere di Bollate a Milano: qui grazie all’opera della Cooperativa Sociale Cascina Bollate è stato realizzato a partire dal 2008 un vivaio interno con due grandi serre e migliaia di metri quadri di terreno da coltivare, ma anche un giardino didattico aperto a tutti nel piazzale esterno dell’edificio, dove si tengono corsi di giardinaggio, e un negozio in cui si possono acquistare le piante prodotte nel vivaio, vendute anche online. La cooperazione tra responsabili, insegnanti e formatori, carcerati e volontari esterni, tra cui ex carcerati che continuano a prestare la propria opera anche dopo la fine del periodo di detenzione, può rendere possibili significativi mutamenti e dare vita a grandi opportunità: un impegno quotidiano formativo che consente di portare a termine la giornata senza combattere con la lentezza del tempo, la prospettiva più o meno remota di poter proporre reali competenze a un eventuale datore di lavoro esterno, il confronto pacificante con i cicli naturali e con i principi fisici che consentono di ottenere o meno i risultati sperati nella cura delle piante, organismi sensibili che richiedono pazienza, attenzione, continuità.
Si moltiplicano i racconti di chi ha visto mutare le proprie condizioni di vita grazie a questo genere di iniziative, i dati attestano la riduzione della ricaduta nel crimine di chi passa attraverso queste esperienze, dalle case di detenzione giungono richieste di trasferimenti per poter accedere a strutture come queste, da cui si può però anche essere mandati via se non ci si attiene alle regole strettamente richieste e giustamente necessarie per selezionare e coinvolgere solo chi davvero intende offrire a se stesso una seconda occasione: il rispetto di orari e indicazioni è indispensabile, comportamento e attitudini devono conformarsi al contesto del lavoro comune e della condivisione degli spazi e delle attività, pena il fallimento e l’esclusione da un progetto che volutamente si cala in un contesto realistico, anche dal punto di vista del valore economico attribuito alla prestazione lavorativa e della competitività che si richiede ai prodotti e alle prestazioni venduti all’esterno. I carcerati che lavorano nel vivaio di Bollate e, in regime di articolo 21, quindi con un permesso di lavoro giornaliero, anche nelle attività esterne (realizzazioni, manutenzioni e partecipazioni a fiere ed eventi del settore), vengono regolarmente salariati, e la produzione e vendita delle piante è giustamente finalizzata a soddisfare la clientela fornendo prodotti di alta qualità per poterne ottenere in cambio una adeguata ricaduta economica.
Il concetto di vivaio a Bollate torna quindi ad essere una realtà positiva, rovesciando e riposizionando in un corretto contesto di fruttifera concretezza il luogo comune del carcere “vivaio della criminalità”, infelice espressione spesso usata per alludere a reclutamenti e affiliazioni che molte realtà malavitose mettono in atto proprio tra le mura degli Istituti di pena: gli autori di questo e altri simili interventi possono ben dire di aver dato scacco a chi gioca sull’apparente inesorabilità di un destino di errori, in cui scelte e opportunità non possono che ridursi a ripetere se stesse. Prendendo spunto dalla infinita varietà e capacità rigenerativa della natura, si possono invece trovare nuove strade e nuove energie, attribuendo così un significato diverso, inaspettato e anche letteralmente più “fruttuoso” all’inevitabile peso della permanenza coatta: altro problema sarà poi, trascorso il tempo necessario, essere in grado di gestire il ritorno alla vita ordinaria, in un mondo del lavoro che ben poco ha da offrire anche a chi non abbia mai violato le leggi. Indubbio resta che tornare ad affrontare il mondo con un buon paio di guanti da giardiniere potrà essere sicuramente meglio che affrontarlo a mani nude.
Dalla dicitura sottolineata fare link qui: http://www.cascinabollate.org/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=1&Itemid=2
Milena Ortalda è consulente culturale, autrice del volume “Il futuro negli alberi” (BluEdizioni) http://www.ilfuturoneglialberi.it/