Parliamoci chiaro: se il criterio fosse il ROI (return on investment, per chi non ha dimestichezza con gli acronimi inglesi del marketing) quasi nessuno dei numerosi enti pubblici italiani, quelli che i cittadini coloritamente chiamano “carrozzoni”, sarebbe da salvare a motivo della spending review del commissario Cottarelli. Anche l’Enit, l’Agenzia nazionale di promozione turistica. Un ente che in passato raramente ha suscitato entusiasmo presso gli operatori turistici italiani. Che in anni ancora vicini destinava alle spese di gestione (personale e affitto di sedi estere) la maggior parte del budget annuo. Sì, il ROI molto probabilmente sarebbe stato contro anche all’Enit, oggi compreso negli enti da “tagliare” secondo il commissario governativo Cottarelli, un tecnico prestato alla politica, rischia la chiusura.
«Forse il commissario Cottarelli non ha mai viaggiato… dovrebbe viaggiare di più». Il presidente di Confturismo Confcommercio, Luca Patanè, risponde così ai giornalisti che gli hanno chiesto cosa pensasse dell’ipotizzata chiusura di Enit secondo il piano della spending review messo a punto dal commissario Cottarelli. « Mi sono sempre chiesto – ha detto Patanè – perché a guidare il turismo non sia mai stata messa una grande figura del settore ma sempre manager di Stato o burocrati. Quanto al brand Enit, in effetti negli ultimi anni si è appannato e va rilanciato, ma l’Italia ha bisogno senza dubbio di una promozione unitaria. Dal Governo aspettiamo con impazienza segnali per il settore. La politica si ricorda del turismo in campagna elettorale e se ne dimentica sempre il giorno dopo».
Eppure il turismo è sempre più un bene anche in tempi di crisi: a livello mondiale l’andamento del settore è stato nel 2013 superiore alle attese sia in termini di movimento (+5%) che di spesa. E anche l’Europa meridionale e mediterranea hanno goduto di questo quadro favorevole, con una crescita del turismo del 5%. Parte da queste considerazioni lo studio “L’apporto del turismo all’economia italiana” presentato presso la sede dell’Enit dai vertici di Confturismo Confcommercio che analizza quattro mercati, Germania, Russia, Stati Uniti e Giappone, ovvero il 40% dei turisti stranieri organizzati in Italia: il turismo “con pacchetto” rappresenta circa il 20% del movimento repeaters per l’Italia: il 31,4% di coloro che sono arrivati con un pacchetto organizzato è già stato nel nostro Paese addirittura più di 10 volte. Se si studiano invece i dati relativi ai fatturati si nota che in media, sui viaggi degli stranieri in Italia, il fatturato dei pacchetti che rimane nel nostro Paese è solo del 47,1%, mentre sale al 57,4% se ai pacchetti si sommano le spese extra totali.
Quanto alla distribuzione del fatturato del turismo incoming organizzato, le percentuali dicono che tedeschi e giapponesi sono molto attenti all’alloggio, i turisti americani puntano sulla ristorazione mentre i russi amano lo shopping. Su questi argomenti, e facendo una sana attività di lobbying e di promozione dovrebbe, a nostro parere, esercitarsi l’azione dell’Enit sui mercati internazionali. Uscire cioè dal consueto atteggiamento della ‘mentalità’ statale, rinunciare alle rendite di posizione e, finalmente, promuovere il brand Italia là dove il ‘margine di guadagno’ giustifichi la sua presenza.
Altro che cassare l’Enit. Cambiarlo in meglio, semmai.
Convinto dell’utilità dell’Enit è anche Andrea Babbi, direttore generale dell’Agenzia. «È uno strumento la cui funzione è indiscutibile. Se poi mi si chiede se si può cambiarla, dico di sì, che è una realtà che va migliorata, che si dovrà mettere in discussione, già ha iniziato a farlo; io stesso arrivando qui ho accettato la sfida al cambiamento. Le nostre azioni – ha aggiunto – potranno essere ritenute giuste o criticate. Ma è oggettivo che ci sia bisogno di un’Agenzia nazionale del turismo». Quanto al portale Italia.it, era stato formalmente assegnato all’Enit, ma questo passaggio non è mai avvenuto ed è fermo in un cassetto del ministero», ha concluso il dg dell’Agenzia.
A chi, per incarico professionale, ha facoltà di incidere sulle sorti della nostra economia vorremmo amabilmente suggerire di leggersi, in una pausa del suo defatigante lavoro, le “Leggi fondamentali della stupidità umana”, il divertente saggio di Carlo M. Cipolla, professore emerito di Storia economica a Berkley, scritto qualche anno fa, ma apparentemente intramontabile. Si ricre(d)erebbe.
Immagine: Trulli, Alberobello – Giampiero Torino