Una storia che, per molti versi, ricorda un episodio della serie tv americana di successo The West Wing: a Washington un veterano decorato della guerra di Corea diventato nullatenente e ‘barbone’ negli slums della capitale, è costretto a vivere miseramente sotto i ponti del Potomac. Derelitto sino al giorno del suo funerale, una fredda giornata invernale, celebrato con gli onori militari (picchetto in alta uniforme, salve di commiato, bandiera ripiegata a triangolo) voluto e organizzato, a spese della presidenza, dal portavoce della Casa Bianca che gli aveva dato il suo cappotto da upper class perché si riparasse almeno dal freddo, dimenticando in tasca il suo biglietto da visita che aveva consentito alla polizia di risalire fino a lui, smaliziato uomo d’apparato ma sensibile al passato del reduce defunto.
Due storie. Tipiche dell’American way of life. Parlano di un’America dei mille volti (si dovrebbe dire Stati Uniti, ma anche gli americani ‘altri’: immigrati vari e i sudamericani la chiamano così). Storie analoghe nei protagonisti. Due senzatetto con un recuperato passato dignitoso, e anche in quelle dei loro ‘benefattori’, due persone delle istituzioni, il rappresentante dell’Amministrazione e quello del braccio ‘armato’ dell’istituzione, la poliziotta.
Particolarmente indicativa, quest’ultima storia, nel momento in cui purtroppo sono d’attualità le cronache delle uccisioni di cittadini neri a causa di poliziotti la cui interpretazione della legge, secondo i Grand Jury popolari di Ferguson e New York convocati per stabilire se le prove raccolte fossero sufficienti per iniziare un processo penale, hanno giudicato “not to indict”, non processabili, i rappresentanti delle forze dell’ordine coinvolti.
Storie d’America. Nobili o criticabili. Risapute o sconosciute. Entusiasmanti o avvilenti. Comprensibili o ingiustificabili. Storie, come si diceva, di un’America beyond, “oltre” e malgrado. Comunque da raccontare.