Virtuosi o viziosi che fossero, gli attori nel settecento in Francia erano al contempo ricercati e reietti: applauditi e adorati da una parte, emarginati e scomunicati dalla chiesa, dall’altra. A spiegarcelo è la “Guida pettegola al teatro francese del Settecento” di Francesca Sgorbati Bosi, recentemente pubblicata da Sellerio.
E’ nell’epoca dei lumi, infatti, che gli attori cominciano ad ottenere una certa considerazione sociale, soprattutto per le loro eccentricità, nella vita come sul palcoscenico. Prima di questo periodo, gli artisti del palcoscenico erano disprezzati, emarginati e considerati – socialmente parlando – alla stregua della servitù. La chiesa, poi si rifiutava addirittura di dare loro sepoltura in terra consacrata.
Per le donne era ancora peggio. Il termine “attrice” era quasi sinonimo di prostituta o cortigiana.
A poco a poco, divennero, però, tra Sette ed Ottocento, protagonisti delle cronache e dei salotti. Se vogliamo quindi rintracciare le origini del divismo (come anche quelle del gossip), dobbiamo partire da questo periodo storico. I due fenomeni – divismo e gossip – sono strettamente legati l’uno all’altro.
Anche il gossip nasce nella Francia del Settecento come unica forma di comunicazione capace di eludere la censura dell’epoca. E questo tema, la Sgorbati Bosi lo ha già affrontato in un suo precedente saggio, la “Guida pettegola al Settecento francese” (anch’essa pubblicato da Sellerio).
Entrambe le guide tracciano uno spaccato del vivere quotidiano e delle abitudini dell’epoca dei lumi, offrendo interessanti spunti di riflessione e di confronto tra presente e passato. I due libri riportano fatti di cronaca ma soprattutto aneddoti curiosi che venivano stampati su pubblicazioni clandestine oppure messi in musica o ancora descritti nei diari personali degli aristocratici e dell’alta borghesia.
L’autrice, in questo suo libro dedicato al teatro, apre il sipario sulle vite di attori, cantanti e impresari ma anche, tangenzialmente, su quelle di nobili e letterati dell’epoca prerivoluzionaria. Un’epoca fiduciosa e spiritosa che aborriva i toni saccenti e pomposi. La Francia del ‘700 era, infatti, una sorta di mondo a parte rispetto al resto dell’Europa, persino nei confronti delle donne che potevano godere, caso più unico che raro, di una notevole libertà.
Le persone sapevano ridere degli altri ma, anche e soprattutto di se stesse. Sapevano raccontare le cose più atroci o tremende con humor e leggerezza. Per “smontare” un motto offensivo, una provocazione gratuita, non ricorrevano a insulti o a prepotenze. Si faceva piuttosto ricorso alle armi dell’arguzia e dell’intelligenza o, al massimo, del sarcasmo. Arguzia e senso dell’umorismo erano le qualità considerate più eleganti e più apprezzate persino nel commentare o descrivere questioni di gelosia e corna, indipendentemente dal fatto che riguardassero le donne o gli uomini.
Durante gli anni del regno di Luigi XV, in particolare, era considerato di cattivo gusto per un marito considerarsi geloso della moglie, figurarsi fare uno scandalo per qualche suo capriccio. In assoluto, nonostante la legge condannasse le donne adultere ad essere rinchiuse in convento (e a perdere il diritto sulla loro dote), nessuno quasi mai ricorreva a tali misure. Poiché era consuetudine, infatti, che i matrimoni si contraessero esclusivamente per convenienza economica o sociale, era anche – come ci ricorda l’autrice stessa nella prima delle due pubblicazioni – ben accetta l’idea che “le donne avessero diritto, se non all’amore, almeno alle gioie del sesso”.