Essere “sensibili al glutine” non vuol dire essere necessariamente celiaci. La cosiddetta Non Celiac Gluten Sensitivity (NCGS) non è l’allergia al grano che è caratterizzata dalla produzione di una classe di anticorpi detti IgE diretti contro le proteine del grano ed è anche diversa dalla malattia celiaca, dove si assiste ad una reazione autoimmunitaria che colpisce i villi presenti sulla mucosa intestinale. In verità poco si sa ancora sui meccanismi chiamati in causa in questa condizione e recentemente alcuni studi avrebbero dichiarato che il glutine potrebbe non essere l’unico responsabile. Allo studio ci sono anche altre proteine del grano, gli oligo-mono-disaccaridi fermentabili ed i polioli, identificati dalla sigla FODMAPs e contenuti i moltissimi alimenti. I principali alimenti ad alto contenuto di FODMAP sono: latte e latticini, dolcificanti a base di fruttosio, fagioli, mela, broccoli, cavolfiori, aglio e cipolla; tra i cereali quelli con glutine ne contengono decisamente di più rispetto a quelli gluteen-free.
La diagnosi di sensibilità al glutine oggi rimane quindi una diagnosi di esclusione il cui sospetto è sostanzialmente clinico.
La sintomatologia della “Gluten-sensitivity” si manifesta di norma dopo alcuni giorni (a volte anche solo dopo alcune ore) dall’assunzione di glutine con disturbi gastrointestinali molto simili a quelli presenti nella celiachia, nell’allergia al grano e, più in generale, nella sindrome dell’intestino irritabile (meteorismo, dolori addominali, diarrea o stipsi o alvo alterno, nausea e talora vomito) ed extraintestinali (sonnolenza, stordimento, cefalea, artromialgie, rash cutanei tipo eczema, depressione, anemia e astenia). A complicare ulteriormente la diagnosi può essere anche il coinvolgimento del dismicrobismo intestinale nello sviluppo dei sintomi intestinali come gonfiore addominale, crampi, iperfermentazione intestinale con flatulenze eccessive e mal di testa. Quest’alterazione del microbiota intestinale potrebbe ricondurci alla ben nota SIBO (Sindrome da sovraccarica batterica nel piccolo intestino) dovuta all’assunzione di farinacei, zuccheri e lattosio e/o da alterazioni del transito intestinale.
Attualmente non sono disponibili dei marcatori anticorpali specifici e l’unica alterazione immunologica che si può riscontrare e la positività per anticorpi antigliadina di prima generazione (AGA di classe IgG, raramente di classe IgA) che sono ritrovati positivi nel 40-50% dei pazienti con Gluten Sensitivity
In pratica se i test allergologici per l’allergia al grano ed la sierologia tipica per la celiachia (anticorpi antiendomisio e antitranglutaminasi) sono risultati negativi e se una biopsia intestinale è risultata normale o con alterazioni minime della mucosa (tipo 0 o 1 o con incremento dei linfociti intraepiteliali secondo la classificazione di Marsh-Oberhuber, ma con villi assolutamente normali) possiamo definire il nostro paziente come sensibile al glutine.
Sul piano genetico la Gluten Sensivity presenta una positività per gli aplotipi HLA-DQ2 e/o DQ8 nel 50% dei casi rispetto al riscontro degli stessi marker genetici nel 99% dei celiaci e nel 30% della popolazione normale.
La “Gluten Sensitivity” si manifesta dall’età adolescenziale all’età adulta risparmiando soggetti in età pediatrica e si stima che sia 6 volte più frequente della celiachia.
Oggi, sicuramente si consumano maggiori quantità di pane, pasta, pizza ed altri cibi contenenti glutine in tutto il mondo e questo può aver portato, negli ultimi anni ad un significativo aumento delle reazioni avverse al glutine con un ampio spettro di manifestazioni cliniche. Tra i fattori che hanno condizionato l’incremento d’intolleranza al glutine sicuramente un ruolo di primo piano va attribuito alla selezione, più per ragioni tecnologiche che nutrizionali, di varianti di grano con più alto contenuto di peptidi tossici, coinvolti nella composizione del glutine. Il glutine è, infatti, una massa reticolare elastica e porosa che rappresenta la struttura principale dell’impasto per la panificazione cui garantisce l’elasticità. I tempi del processo di lievitazione del pane si sono sostanzialmente ridotti e ciò ha fatto si che il pane sia diventato sempre più ricco di glutine. Le proteine del glutine inoltre sono scarsamente digerite nello stomaco e giungono a contatto con la parete intestinale quasi intatte. In Europa il consumo medio di glutine è di 10-20 gr al giorno con alcune popolazioni che arrivano a consumarne anche 50 gr. Basti pensare che sono sufficienti 50 milligrammi di glutine per provocare, in un soggetto celiaco, danni alla mucosa intestinale.
Nella “Gluten sensitivity” abbiamo molto probabilmente una situazione transitoria, dove non c’è ancora alterazione della permeabilità intestinale e quindi questa condizione potrebbe risolversi dopo un periodo di alimentazione senza glutine. Mentre nella celiachia l’eliminazione del glutine rappresenta una soluzione terapeutica da seguire per tutta la vita, per i soggetti sensibili al glutine potrebbe bastare l’esclusione del glutine per alcune settimane per ottenere una completa remissione dei sintomi benché alcuni gastroenterologi, in realtà, consiglino un’alimentazione priva di glutine per non meno di 1-2 anni.
Il problema della condizione di sensibilità al glutine è quello che, non essendo considerata una patologia clinicamente definita, non presentando una stretta relazione con il glutine e non essendo quindi assimilabile alla celiachia, non può permettere ai pazienti di accedere ad un iter diagnostico che porti eventualmente ad un rimborso dei prodotti senza glutine.
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