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ASSISTENZA. ALLA MILANESE

 

Son tempi, questi, in cui il rimprovero di scarsa attenzione ai bisognosi viene mosso agli italiani con un accanimento che, francamente, mi sembra immeritato. Sarei portato a dire, come sempre in caso di generalizzazioni: «Non tutti, però». Milano, per esempio, fa eccezione.

Convinzione, la mia, rafforzata dal fatto che l’Asilo Mariuccia, storica istituzione aconfessionale fondata nel 1902 a Milano in ricordo della figlia Maria, detta Mariuccia morta a 13 anni di difterite, da Ersilia Majno, moglie dell’accademico e senatore del Regno Luigi Majno con l’obiettivo di “addestrare all’emancipazione le fanciulle pericolanti”, nei primi giorni di settembre ha riaperto i battenti. All’epoca della sua creazione, a tenere il discorso inaugurale dell’asilo nel 1902 fu la poetessa Ada Negri, e l’Asilo Mariuccia venne fortemente sostenuto dalle militanti dell’Unione femminile nazionale (UFN), associazione milanese di matrice socialista fondata nel 1899, che raccoglieva le varie organizzazioni emancipazioniste operaie per tutelare i diritti delle donne, sia in àmbito sociale sia negli ambienti di lavoro.

La pïetas dei milanesi, per altro, viene da lontano: l’altra celeberrima istituzione che si occupa di accogliere maschi e  femmine orfanelli, i “Martinitt” e le “Stelline”, risale addirittura al 1532! E anche sul fronte ‘istituzionale’ esempi lodevoli non mancano: la Scuola Militare “Teulié” è un istituto scolastico dell’Esercito Italiano, dedicato al Generale Pietro Teulié che, durante la sua permanenza al Ministero della Guerra, pose mano al progetto di un Orfanotrofio Militare, ubicato nell’attuale sede della Scuola, nel periodo di passaggio dalla Repubblica Cisalpina alla Repubblica Italiana. L’atto di nascita della Scuola, 15 gennaio 1802, ne fa la più antica tra le istituzioni napoleoniche tuttora esistenti.

Ma torniamo al nostro “Asilo Mariuccia”, così amato dai milanesi al punto da diventarne una icona, come dimostra l’espressione piuttosto diffusa nel gergo meneghino, che col tempo ha assunto un significato canzonatorio, per indicare un asilo d’infanzia: “roba da asilo Mariuccia…”.

Oggi la storica istituzione, guidata da un generale dell’Esercito in congedo, nella sede di via Pacini ospita 120 tra mamme e bimbi. Fiore all’occhiello della onlus è però la sede di Porto Val Travaglia, sul lago Maggiore. Qui la comunità accoglie giovani che vi crescono e trovano anche un lavoro; retaggio del fondatore, come spiega il generale Camillo De Milato: «All’epoca, gli enti assistenziali cattolici davano da mangiare ai bisognosi; quelli socialisti insegnavano un lavoro».

Un percorso inalterato nel tempo, anche se recentemente l’Asilo Mariuccia ha conosciuto qualche opacità gestionale che ha interessato la magistratura. Questa è vicenda ormai superata, e oggi la struttura ha riorganizzato patrimonio e attività; adesso la Fondazione Asilo Mariuccia gode di salute economica: alle rette di mantenimento degli ospiti provvedono i comuni di provenienza dei minori. Le fonti di approvvigionamento, inoltre, non sono soltanto i quattrini: «Abbiamo numerose donazioni materiali – precisa De Milato – e anche i volontari sono una innovazione di quest’amministrazione». Bene.

La spiegazione di quest’attitudine milanese alla solidarietà? Perché malgrado i cambiamenti epocali che hanno investito anche la capitale lombarda, essa è ancora una città generosa. Malgrado il multiculturalismo, l’attenuato senso di comunità, tradizioni e dialetto praticamente scomparsi dal tessuto urbano dove il cognome Hu ha superato Rossi, la mia città è ancora la «Milan col coeur in man». Quella del tempo di Carlo Codega (pronuncia cùdega), modo di dire riferito a un tempo molto indietro, quando la Milano del Settecento era una città molto poco illuminata, e nobili e ricchi, nel buio della sera, si facevano precedere da un servo munito di lanterna, detto “codega” (cotenna) per la funzione che svolgeva.

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