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NOBEL ANTI-POVERTÀ

«Temo un mondo in cui i ricchi fanno le regole, e gli altri devono obbedire». Parola di Nobel. E se Angus Deaton avesse ragione? Il fatto che quest’anno gli abbiano assegnato il Nobel per l’Economia – dopo esser già stato negli anni passati finalista al premio svedese – dimostrerebbe che le sue apparenti provocazioni in realtà potrebbero essere la ricetta per affrontare efficacemente il problema della disparità di reddito e della povertà.

Scozzese, matematico ed economista, professore di Economia a Princeton, New Jersey (Usa), Angus Deaton è autore del libro «The Great Escape», La Grande Fuga (Il Mulino). Nella sua visione dell’economia, il docente naturalizzato americano sostiene: che le diseguaglianze sono dolorose, ma necessarie alla crescita; che i Paesi poveri si aiutano non con gli aiuti internazionali diretti di quelli ricchi bensì creando localmente le condizioni per uno sviluppo più sostenuto; che l’umanità, oggi, vive in condizioni migliori rispetto al passato e incomparabilmente migliori rispetto al Novecento. Per intenderci, secondo l’Autore oggi ci sarebbero, globalmente, più benessere e meno poveri.

Sarà perché la sua origine scozzese non si smentisce, ma Deaton, che ha ripreso e in buona misura approfondito le analisi economiche di Franco Modigliani (l’ideatore dell’ipotesi del “ciclo vitale”, che spiega come il risparmio ed il consumo cambino nell’arco di vita di un individuo. Teoria secondo cui i consumatori tendono ad effettuare le loro scelte di consumo non in base al loro reddito corrente, ma in base alla loro aspettativa di reddito e consumo totale futuri) e di Milton Friedman, il fondatore del pensiero monetarista e uno dei principali esponenti del pensiero liberale e liberista. Angus Deaton è dunque per scelta e formazione uno studioso energicamente contrario all’assistenzialismo, che teorizza la fuga dalla povertà senza demonizzare il benessere. Egli sostiene una tesi che ha riscontro sotto gli occhi di tutti: lo sviluppo diffuso, sostenuto da governi che spendono, è di gran lunga più efficace degli interventi diretti (grazie alla crescita mezza Asia è uscita dalla miseria, per esempio) – e qui il neo Nobel provoca robusto dissenso rispetto alla consuetudinaria attitudine generale – che spengono la voglia di fare, ignorano la meritocrazia e spesso ingrassano caste e satrapi al governo dei Paesi poveri del terzo e quarto mondo. Resta il fatto, al di là della lettura e della valutazione “politica”, che l’Accademia delle Scienze ha premiato il metodo utilizzato dall’economista di Princeton: accuratezza delle analisi basata sulle statistiche, valutazione dei “grandi numeri” e dei consumi dei cittadini al variare dei prezzi e del carico fiscale; dimostrazione che, ad esempio, il miglioramento dell’alimentazione dipende più dal contesto socioeconomico che dall’aumento del reddito, e che l’allungamento della vita media degli individui dipenda più dal miglioramento dell’istruzione che da quello della ricchezza.

Vogliamo scommettere? Pochi guru dell’economia, della sociologia e della politica saranno consapevoli e condivideranno la visione decisamente irrituale di Angus Deaton: meglio investire in scuola e in ricerca medica che in provvidenza alle famiglie.

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