Le bufale pascolano sul web. Che cosa c’entrano le bufale col web, vi chiederete. C’entrano, c’entrano. Perché non parliamo di quelle dal cui latte si ricavano appetitose mozzarelle, bensì delle notizie false, post-verità come usa dire adesso, “bufale”, nella lingua dell’informazione. Fateci caso, da settimane i mezzi di informazione di massa tradizionali e on line dibattono l’argomento del giorno: le false notizie diffuse in Rete (fake news, per gli elegantoni), che avrebbero un potere convincente assoluto nell’aggregare credulità, come prima l’avevano la radio, i giornali e poi la televisione. E una grande capacità di fare danni. Un esempio tra mille: la relazione tra vaccini e autismo nata da una (presunta) ricerca scientifica, pubblicata dalla bibbia del settore, l’autorevole rivista Science; smentita anni dopo, si dimostrò una bufala.
Si fa strada così presso gli addetti l’idea che è necessario contrastare il proliferare delle bufale on line, spacciate via social network, Twitter e Facebook su tutti. «Le notizie false sul Web rischiano di trasformare Internet da strumento di servizio dell’informazione e della cultura in un immondezzaio di leggende metropolitane, notizie allarmistiche, incitamenti fanatici e bigotti: tanto più suggestivi quanto più fantasiosi e“urlati”. La diffusione “virale” di siffatti materiali è poi spesso alimentata da chi controlla i “cancelli” di Internet, attraverso l’uso di meccanismi (algoritmi) di classificazione e presentazione delle notizie che privilegiano il numero delle adesioni, dei “mi piace”: meccanismi che premiano, proprio, la credulità» (Gustavo Ghidini, presidente del Movimento Consumatori, sul Corriere della Sera). Le proposte “censorie” come la creazione di Authority ad hoc avanzata dal presidente dell’Agcom, l’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni secondo il quale bisognerebbe affidare a terzi indipendenti compiti di vigilanza e intervento sulla degenerazione in atto, si scontrano però con il fatto che in Rete le notizie “girano” senza intermediazioni (direttori, editori ecc.) né filtri e che spesso, per questa ragione, una notizia “vera” on line è solo plausibile, quando va bene.
Come se ne esce allora, se vogliamo opporci a interventi burocratici e illiberali ed evitare la creazione di una ennesima occhiuta gendarmeria, la ‘polizia del web’? Tecnicismi sono possibili: codici di autoregolamentazione, ricostruzione dell’origine e della catena distributiva delle informazioni con meccanismi di tracciabilità digitale e di “social rating” distribuito sulla loro attendibilità, e via normando. Senza dimenticarci per altro che “ignorance is curable, stupidity is permanent”. Sopra tutto, educando i cittadini all’accesso responsabile e critico alle fonti informative, ovvero consapevolizzandoli della differenza tra le bufale, quelle da mozzarella e quelle sul web. E che ad essi, ad essi soltanto, compete scegliere quale preferire tra le due.