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A PROPOSITO DI IRRITABILIT…SPUNTI ALIMENTARI

Sembra che che più del 20% della popolazione sia affetto da disturbi intestinali ma questa cifra è destinata inevitabilmente ad aumentare con l’evidenza delle numerose intolleranze alimentari all’ordine del giorno.  La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) rimane senza dubbio una delle cause per cui si ricorre spesso al gastroenterologo ed è una patologia dovuta ad alterazioni motorie funzionali del colon che portano a dolore addominale ed irregolarità dell’alvo (alvo alterno). Vi sono altri sintomi addominali che possono essere il meteorismo con senso di gonfiore addominale, borborigmi e nausea. A completare il quadro sintomatologico possono esserci sintomi non addominali tra cui cefalea, astenia, difficoltà di concentrazione, palpitazioni, dispnea e disuria.

Non vi sono esami ematochimici e strumentali che possono aiutare a fare diagnosi; ed è proprio l’assenza di evidenti segni clinici e la negatività degli esami di laboratorio che permette una diagnosi basata solo sull’anamnesi con sintomi presenti da anni e la loro accentuazione in corrispondenza di stress psico-fisici.

Non sono ancora ben definite le cause dell’IBS; tra i vari fattori vengono chiamati in causa quelli genetici ed eventuali infezioni o traumi avvenuti in età infantile.

Un altro fattore importante che può condizionare l’insorgenza dell’IBS è un anomalo sviluppo della flora batterica intestinale. Noi sappiamo esserci più di centomila miliardi di batteri nell’intestino umano che contribuiscono alla digestione dei cibi e regolano le normali funzioni intestinali compresa la motilità, la sensibilità e le funzioni immunitarie. Di recente si è evidenziato che alcuni individui con IBS hanno anche un’alterazione della flora batterica intestinale, tecnicamente definita SIBO (Small Intestinal Bacterial Overgrowth). Normalmente tutto il tratto gastroenterico contiene batteri: pochissimi nello stomaco e moltissimi nel colon. L’intestino tenue ne contiene circa 10.000 /ml di liquido; inoltre i batteri ospitati nel tenue sono diversi rispetto a quelli contenuti nel colon.

Nella SIBO si ha una crescita esagerata di batteri nell’intestino tenue (almeno 10-15 volte la norma) e contemporaneamente una modificazione dei ceppi della popolazione batterica che tende ad assomigliare a quella del colon. La presenza di un’elevata quantità di batteri nel piccolo intestino determina anche una modificazione degli acidi biliari con conseguente malassorbimento dei grassi alimentari. I batteri inoltre determinano anche un danno diretto sulle cellule della parete intestinale (enterociti) con sintomi assolutamente sovrapponibili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile.

Per fare diagnosi differenziale oggi si ricorre al Breath Test (esame non invasivo) che rileva la quantità d’idrogeno presente nell’espirato (dopo somministrazione di glucosio o lattulosio) dovuta alla fermentazione precoce da parte dei batteri del tenue.

La flora batterica intestinale (microbiota) può essere significativamente modificata dall’introduzione di fibre e oligosaccaridi fermentabili nonché disaccaridi, monosaccardi e polioli definiti dall’acronimo FODMAP.

Cibi ad alto contenuto di FODMAP includono quelli con eccesso di fruttosio (miele, pesche, frutta essiccata), fruttani (grano, segale, cipolla, aglio, carciofi), sorbitolo (albicocche, prugne, dolcificanti) e raffinoso (legumi, cavoli).

Una dieta ad alto contenuto di FODMAP determina un maggior sviluppo di gas ed una distensione colica da fermentazione batterica ed incrementa la quantità di acqua nel piccolo intestino dovuta ad un alto carico idrico. Tuttavia l’incompleto assorbimento di carboidrati nell’intestino non è l’unico responsabile nell’insorgenza dei sintomi ed ecco che vengono quindi chiamati in causa altri fattori già accennati, quali l’alterazione del microbiota intestinale e l’ipersensibilità viscerale.

Nella dieta a basso contenuto di FODMAP si distinguono tre fasi: la prima implica l’esclusione completa di alimenti contenenti FODMAP per un periodo di 8 settimane. Nella seconda fase vengono riesaminati i sintomi ed il diario alimentare tenuto dal paziente per reintrodurre gradualmente gli alimenti contenenti FODMAP. Nella terza fase vi è l’autogestione a lungo termine dei sintomi che viene raggiunta tramite il consumo di alimenti FODMAP fino alla tolleranza.

L’obiettivo finale di questo percorso è di individuare quali alimenti FODMAP sono realmente responsabili dei fastidi riportati, individuando i cibi il cui consumo dovrà essere controllato sia per quanto riguarda la quantità che per la frequenza di assunzione. In questo modo si evitano esclusioni inutili che possono impoverire la dieta senza apportare alcun vantaggio. La dieta FODMAP non è certamente una cura per la sindrome del colon irritabile ma può rappresentare una valida terapia alternativa per questo disturbo cronico e debilitante, per contenere i sintomi. In numerosi studi si è dimostrata, infatti, una buona efficacia con più del 75% dei soggetti responsivi, con decisi miglioramenti della sintomatologia. Studi più recenti dimostrano che si tratta anche di un valido strumento per aiutare soggetti con disturbi gastrointestinali per cui non si è riusciti ad identificare uno specifico fattore causale.  Saranno necessari ancora studi long-term che permettano comunque di individuare indicatori clinici utili nel selezionare pazienti che siano in grado di rispondere positivamente a questa dietoterapia relativamente impegnativa che richiede l’intervento di esperti nel campo della nutrizione che sappiano indicare gli alimenti da eliminare, la scelta di un menu bilanciato durante la fase di eliminazione e sappiano guidare il paziente durante la fase di reintroduzione che deve essere ben condotta per definire i valori soglia di consumo degli alimenti FODMAP.

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