Nelle sale cinematografiche, in questo periodo, si possono recuperare parecchi film che vengono riprogrammati come proseguimenti prime visioni. Non farò per tanto un elenco di tutto ciò che si può vedere. Mi limiterò a dare delle indicazioni in base alle pellicole che ho visto e a ciò che vorrei riuscire a non perdere.
I film che ho visto al momento non mi hanno, devo dire, particolarmente entusiasmata, a parte “Parigi può attendere” di Eleanor Coppola con Diane Lane, Arnaud Viard e Cedric Monnet.
La storia, molto agreable, è incentrata su Anne che decide, di recarsi a Parigi invece di accompagnare, secondo i piani stabiliti, il marito (produttore cinematografico) ad Istanbul. La scusa è un mal d’orecchi che le impedisce di prendere l’aereo e di approfittare, invece, del passaggio in auto di un socio del marito che, appunto, si sta recando nella capitale francese.
L’uomo però si rivela essere ben più affascinante del previsto e, soprattutto, attento alle esigenze di lei e squisitamente amante della buona cucina, dell’arte e della storia. Il viaggio dunque non sarà, come aveva pensato Anne, diretto da Cannes (luogo di partenza) a Parigi ma pieno di soste meravigliose in luoghi bellissimi con cibi e vini eccezionali e con la possibilità per lei, di riscoprirsi come donna e come artista, non solo come accessorio secondario e in ombra del marito (ruolo a cui era ormai da troppo tempo abituata).
“Aspettando il re” di Tom Tykwer invece è un film che non mi ha detto niente. Lo definirei senza infamia ne lode. Tom Hanks interpreta Alan, il classico cittadino medio stunitense che si è fatto da se, ma piuttosto in crisi: divorziato, con un reddito che non gli permette di far fronte, tutti i semestri, alla retta del college della figlia e costretto quindi, a lavorare per un’azienda che lo spedisce in Arabia Saudita. Alan deve riuscire a convincere il re a comprare un sistema olografico per videoconferenze. All’inizio il film sembra promettente, con alcune bizzarre situazioni e una discreta sceneggiatura ma poi si rivela lento e inconcludente e benché sia tratto da un romanzo (Ologramma per il re di Dave Eggers) sembra che non sappia dove vuole andare a parare.
Ammetto di non aver letto il libro, ma mi auguro che sia migliore del film e che il regista ne abbia fatto una trasposizione molto libera. Anche perché la sua, avrebbe potuto essere un’occasione per mostrarci un po’ di contraddizioni dei Paesi Arabi che, nel film vengono solo sfiorate e poi subito abbandonate con una certa faciloneria e superficialità. Anche la storia tra il nostro protagonista e una dottoressa araba che, per inciso, è un’attrice britannica di origini indiane (Sarita Choudhury), risulta davvero poco credibile, almeno nel modo in cui viene narrata.
Altro film che mi ha trasmesso poco è “Fortunata” che, come tutti i film della “premiata ditta” Mazzantini-Castellitto è una storia molto dura e drammatica, quasi all’inverosimile. Siccome io patisco i libri della Mazzantini che, secondo me, sono un po’ troppo costruiti in serie, non darò più alcun giudizio sul film, anche perché so bene che l’ormai rodata coppia ha i suoi fans e, d’altronde i gusti non si discutono.
Trovo decisamente più verosimili film e sceneggiature che mischiano dramma e farsa (con tanto di momenti ironici, paradossali o grotteschi), perché secondo me la vita, (anche quella più drammatica) è sempre uno strano miscuglio di momenti molto diversi tra loro e pieni di contraddizioni. Qui, invece, di paradossale c’è solo il fatto che la protagonista, che per l’appunto si chiama Fortunata, ha invece una vita complicatissima e piena di grane e preoccupazioni finanziarie: ha un ex marito violento, una figlia che sputa e si comporta da sociopatica nonché un amico che vira tra lo schizofrenico e il bipolare. Non è disoccupata giusto perché si arrabatta facendo la parrucchiera a domicilio in certi quartieri periferici di Roma assai degrdati e deprimenti, ma non riesce mai a racimolare i soldi per aprirsi un negozio, che sarebbe il suo sogno. E anche quando incontra un uomo che, almeno all’apparenza, sembrerebbe poterle darle una parentesi di felicità (trattasi dello psicologo della figlia), beh anche questo si rivelerà un discreto stronzo. Gli attori principali, Jasmine Trinca e Stefano Accorsi, però sono molto bravi.
Un film che mi è piaciuto di più è invece “Lady Macbeth”, opera prima di William Oldroyd, anche se piuttosto truculento: con ben tre omicidi commessi dalla protagonista e dal suo amante (ai danni del marito, del padre del marito e del figlio che il marito ha avuto da un’altra donna) il film però non è una sequenza di colpi di scena mozzafiato. Anzi. Inizialmente è molto lento e scarno come d’altronde ci si aspetterebbe da un regista che arriva dal teatro. Ad ogni modo un film consigliato agli amanti del genere “Crime”.
Tra i film che vorrei invece non perdere c’è “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni. Ci terrei a vederlo perché Francesco Bruni è stato co-sceneggiatore di diversi film di Paolo Virzì (uno che per l’appunto sa bene come miscelare momenti drammatici e divertenti creando notevoli situazioni paradossali e piene di contraddizioni). Inoltre avevo già visto il suo precedente lavoro “Scialla” e mi era piaciuto molto. Non avendolo però ancora visto mi limiterò alla trama, anche se in questo genere di storie, molto si deve all’ambientazione, all’atmosfera e ai dialoghi. Alessandro, che ha una ventina d’anni, è ignorante e casinista, si ritrova a dover accettare un lavoro come accompagnatore di Giorgio, un’ottantacinquenne poeta con un inizio di Alzheimer. Col passare dei giorni dalla mente un po’ smarrita dell’anziano e dai suoi versi, affiora un ricordo del suo passato: tracce per una vera e propria caccia al tesoro che incuriosiscono progressivamente Alessandro e i suoi amici.
Se ve li siete persi, cercate infine di recuperare (in alcune sale di proseguimenti prime visioni ancora li programmano), lo spassoso “Lasciati andare” di Francesco Amato, con Toni Servillo, Carla Signoris e Luca Marinelli e “Libere, disobbedienti e innamorate” dell’ungherese Maysaloun Hamoud.
Quest’ultimo racconta le vicende di tre ragazze che dividono un appartamento a Tel Aviv e che cercano di realizzarsi lontano da famiglie o uomini opprimenti. Salma è una dj che sbarca il lunario facendo anche lavori occasionali come la barista e che deve nascondere la propria omosessualità ai famigliari, cristiani osservanti e piuttosto intransigenti.
Leila è un avvocata penalista che decide di lasciare un uomo di cui è innamorata poiché troppo conservatore e opprimente. Noor, infine è una studentessa musulmana originaria di Umm al-Fahm, città che in Israele, è centro del Movimento islamico ed ha un promesso sposo fanatico che la vuole sottomessa ed obbediente.
Noor è anche l’ultima arrivata nell’appartamento. E’ remissiva e silenziosa ma in breve tempo si lascia contagiare dalle altre due. Il fidanzato musulmano, accortosi del cambiamento, comincia a criticarla e a sollecitarla di trovare un altro appartamento. Considera le coinquiline di Noor alla stregua di prostitute, ma lei si rifiuta di andarsene e lui, nonostante sia un assertore convinto della castità prematrimoniale, le usa violenza, quasi in segno di disprezzo nonché di intimidazione.
Le tre ragazze però faranno squadra e riusciranno a liberarsene. Un bel film sul potere e la bellezza della solidarietà femminile, che noi occidentali, stiamo dimenticando.