Son bastati 170 anni e alla fine Mameli ce l’ha fatta. Cento perché il suo testo, Il canto degli italiani, risale al Risorgimento (1847 l’anno della composizione), e settanta perché il Senato della Repubblica italiana sancisse che quello che noi conosciamo come Fratelli d’Italia, Inno di Mameli, Inno nazionale (“provvisorio” fino a ieri), piaccia o no, è ufficialmente il nostro inno.
Ci siano consentite alcune considerazioni, e non sembrino irriguardose. La prima. Solo le prime due strofe compongono il testo ufficiale del nostro inno; le altre rimangono destinate all’oblio della poesia. La seconda: Goffredo Mameli è autore dei versi che, salvo forse la prima strofa, la maggior parte degli italiani ignora; eppure ha raggiunto l’immortale paternità. Michele Novaro, autore della musica le cui note da sempre tutti gli italiani intonano a orecchio, invece è un perfetto sconosciuto.
A proposito di musica: l’inno che i tifosi intonano negli stadi di calcio quando gioca la Nazionale (i calciatori non sempre, e quando lo fanno si stringono a corte invece di coorte) ha un’introduzione marziale di buona fattura, ma che pochi – militari inclusi, è esperienza personale di chi scrive – riconoscono come preludio. Ancora, non è scritto da nessuna parte che siccome l’Italia chiamò, si debba rispondere con un corale fragoroso quanto retorico Sì! finale, come si ascolta nelle trasmissioni radiotelevisive. Il testo di Mameli non lo prevede.
Ultimo ma non per importanza: l’Inno nazionale non è una marcetta popolare da cantare accompagnandola col ritmico batter di mani alla maniera della tarantella napoletana, cattiva usanza che ahinoi va sempre più diffondendosi. E neppure portando la mano destra all’altezza del cuore, alla maniera degli statunitensi. L’inno nazionale, versione simbolica musicale della bandiera, si ascolta in piedi, fermi sulla posizione di attenti (braccia distese in basso, a cavallo della costura dei pantaloni, uomini e donne indifferentemente). E in rispettoso silenzio, se non si vuole o non si sa cantare la composizione di Mameli/Novaro.
Composizione musicale che ha suscitato dubbi e polemiche sulla sua “bellezza”. Il maestro Muti ha difeso Il Canto degli Italiani. Altri musicisti, come il compositore Roman Vlad, già sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano, considerano la musica tutt’altro che brutta e comunque non inferiore a quella di molti altri inni nazionali.