Oggi parliamo di modi di dire apparentemente incoerenti tra loro. Invece… come vedremo, il denominatore comune, è la parola, il dire; questo li autorizza a entrare in questa rubrica.
Il primo è “aver voce in capitolo”. Una bella spiegazione ci viene dallo storico dell’arte Luca Nannipieri: «Quando si dice che la nostra democrazia si regge sul fatto che ogni cittadino ha diritto di esprimere la propria parola, il proprio pensiero, si dice che ogni cittadino deve “avere voce in capitolo” su varie questioni sociali, etiche e politiche. Sapete dove nasce questo modo di dire: avere voce in capitolo? Nasce nelle abbazie. Perché nelle abbazie il Capitolo è il luogo dove i monaci si riunivano, dal più saggio e anziano al più giovane, avevano voce per parlare e discutere. La democrazia, il diritto di parola in un’assemblea pubblica, si sono consolidati lì, nelle abbazie».
Un altro: una locuzione verbale che spesso usiamo con la convinzione di mettere un punto fermo: verba volant, scripta manent, che tradotta letteralmente significa “le parole volano, gli scritti rimangono” Questo antico proverbio – ci informa Wikipedia – trae origine da un discorso di Caio Tito al senato romano, insinua la prudenza nello scrivere, perché, se le parole facilmente si dimenticano, gli scritti possono sempre formare documenti incontrovertibili. Questo proverbio, però, come ci ricorda il matematico, logico e saggista Piergiorgio Odifreddi (In media stat virus, 2007) è nato con un significato del tutto opposto: in un’epoca in cui la quasi totalità delle persone era analfabeta, stava a indicare che le parole viaggiano (volant), si diffondono di bocca in bocca, permettendo che il loro messaggio continui a circolare, mentre gli scritti restano, fissi e immobili, senza diffondere il loro contenuto. Incidentalmente, l’espressione “parole alate” dice niente? In italiano, l’espressione ha assunto il significato di eloquio con registro linguistico altissimo, sublime.
Parole sulla punta della lingua – Si dice di qualcosa che si sa ma che non si ricorda all’istante. A tutti è successo nella vita di avere una “parola sulla punta della lingua”, un termine che conosciamo benissimo ma che in quel momento non ci viene e magari ci verrà fuori dopo qualche ora quando ormai non ci servirà più.’inconveniente che è comune in ogni cultura, lingua e gruppo di età, come ha scoperto e raccontato al New York Times Lise Abrams, professoressa di psicologia dell’Università della Florida che ha studiato il fenomeno per 20 anni. Le cause? All’origine del fenomeno (tranquilli, non è un segnale premonitore di demenza senile) potrebbero esserci cause di tipo psicolinguistico, come una temporanea interruzione del processo di rievocazione di un vocabolo. Secondo altre teorie la sensazione del “ce l’ho sulla punta della lingua” sarebbe la normale reazione emotiva alla mancata rievocazione del ricordo. Come se ne esce? “ingannando” il nostro cervello; basta pensare a parole diverse ma attinenti a quella che non ricordiamo. Facile. A parole.