È, questa, una parola inglese che ricorre periodicamente nelle cronache economiche, e che spesso impensierisce governanti e mercati finanziari. Spread, in italiano “differenziale” (si calcola in punti base; ogni punto base è un centesimo di punto percentuale) è una parola usata per indicare la differenza di rendimento tra due titoli di stato; vista la solidità e la forza dell’economia tedesca, i titoli presi a paragone sono quelli emessi dalla Germania.
Con spread, precisa il sito “finanza online” di Borse.it, «viene ormai comunemente indicata la forbice di differenza tra il rendimento offerto dal Btp a 10 anni e dal suo omologo tedesco, il Bund. Nella realtà si potrebbe usare il termine spread per indicare la differenza tra denaro/lettera quando si acquista un’azione o un’obbligazione, il differenziale di rendimento tra due titoli di Stato o l’incremento del saggio di interesse applicato al mutuo da una banca rispetto al tasso Euribor».
Linguaggio per iniziati e addetti ai lavori, direte. Avete ragione. Resta il fatto che lo spread è un importante indice economico che gli economisti utilizzano come parametro di riferimento per determinare la stabilità economica di un Paese nel contesto internazionale. Un rendimento basso significa che questo Paese è in grado di ripagare facilmente i suoi debiti; uno elevato, al contrario, genera una situazione di sfiducia dei mercati finanziari tale da provocare preoccupazione negli investitori, che per questa ragione saranno indotti a richiedere incentivi per i rischi che si assumono.
Il rischio concreto per il Paese, invece, è l’insolvenza (non il fallimento, gli Stati non falliscono) ovvero l’incapacità di pagare i debiti contratti, non riuscendo più a ottenere i crediti necessari a far funzionare la sua macchina amministrativa.