Le circostanze mi han portata a visitare -una di seguito all’altra- le due mostre recentemente inaugurate a Torino nelle sale di Palazzo Reale e di Palazzo Chiablese: Van Dyck. Pittore di corte e Tutti gli “ismi” di Armando Testa. Effettivamente in quel momento mi è sembrata un’eresia, pareva di sentire lo stridore di qualcosa che “non ci azzecca”, per dirla con Di Pietro. “Due rassegne così diverse, due mondi distanti anni luce, due arti differenti, due nomi imparagonabili”, mi dicevo. Eppure, visite concluse, nel cammino per rientrare a casa ho realizzato che c’è un nesso, un punto d’incontro, un’incastonatura, una sequenza con un fondamentale comune denominatore: il genio. Geniale l’uno, geniale l’altro. Scalpitanti entrambi, se soffocati nel recinto della regolarità. Entrambi stupefacenti, sorprendenti, rivoluzionari e irriverenti. Due artisti che, sperimentando, hanno agganciato il futuro.
Antoon van Dyck, nato ad Anversa nel 1599, cavalca al galoppo la sua breve vita (muore a 41 anni). Dopo un corto apprendistato presso l’attivissima bottega di Van Balen, iniziò una stretta collaborazione con Peter Paul Rubens, uno dei più grandi artisti del Seicento che ebbe un’influenza decisiva nell’elaborazione dei suoi modi stilistici. Per le sue straordinarie capacità, a soli diciotto anni Van Dyck entrò nella Gilda di Anversa (una delle corporazioni di artisti ed artigiani) e aprì una sua personale bottega, pur mantenendo la collaborazione con il maestro per grandi imprese pittoriche, fino alla sua partenza per l’Italia. Fin dalle sue prime opere, molto riferite allo stile di Rubens, emerge un linguaggio originale e innovativo. E’ questo spicchio di vita dell’artista a scorrere nella prima sezione della mostra torinese.
La seconda sezione si sofferma, invece, sul periodo italiano del pittore fiammingo (dal 1621 al 1627). Per van Dyck è l’occasione di visitare Venezia, Torino, Roma, Bologna, Firenze, Palermo e Genova. In questi anni si affermò il nuovo modo di ritrarre da lui elaborato: superbo, raffinato, maestoso e al contempo vivo e fortemente emotivo, confacendosi con le esigenze di celebrazione e ostentazione del ceto aristocratico. I suoi primi ritratti realizzati in Italia sono capolavori straordinari, come il Cardinale Bentivoglio (Firenze, Gallerie degli Uffizi) e la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo (Washington, The National Gallery of Art), entrambi esposti in mostra.
La successiva sezione è dedicata agli anni anversesi, presso la corte di Isabella Clara Eugenia, quando -tornato nella città natale (nel 1627)- sostituì Rubens nel ruolo di pittore di corte dell’arciduchessa. In questo periodo Van Dyck raffigurò molti personaggi dell’ambiente vicino a Isabella, una galleria eccezionale di dipinti e incisioni.
L’ultima sezione della mostra illustra l’attività del maestro fiammingo presso la corte di Carlo I. Infatti nel 1632 si trasferì a Londra, presso la corte inglese, dove rimase fino alla morte prematura, avvenuta nel 1641. Fu qui che Van Dyck raggiunse il culmine della sua fama. Realizzò un numero sorprendente di ritratti del re, della regina, dei loro figli e un gran numero di personaggi che frequentavano assiduamente la corte del re d’Inghilterra, regalandoci un panorama davvero sorprendente di quella società.
La bellissima rassegna a Palazzo Reale di Torino punta a mettere in evidenza l’uomo, oltre che l’artista Van Dyck. Il titolo della mostra sottolinea una sua peculiarità, quella di essere pittore di corte. Una realtà che al grande artista fiammingo stava stretta. Se ne tirò fuori superbamente, rivoluzionando l’arte del ritratto del XVII e rielaborandola in chiave moderna.
Carica dell’emozione che l’artista secentesco così geniale, stupefacente e rivoluzionario ha saputo darmi, mi lascio sulla destra Palazzo Reale e in una manciata di secondi mi infilo nelle sale al pian terreno di Palazzo Chiablese. Qui mi accoglie il noto fotoritratto di Armando Testa, quello dove indossa il suo cappello a falda larga con disinvoltura e stringe una matita tra il naso e il labbro superiore. E’ infatti proprio al grande pubblicitario torinese che la sua città natale dedica la rassegna. E io sono di nuovo di fronte al genio. Genio che interpreta la propria epoca e anticipa fondamentali istanze contemporanee. Estroso personaggio dalla travolgente fantasia, visionario e ironico.
I curatori della rassegna, Gemma De Angelis Testa e Gianfranco Maraniello, rendono omaggio all’estro del più importante comunicatore italiano in collaborazione con Mart – Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Lungo il percorso espositivo s’incontrano alcuni dei personaggi più celebri dei mondi di Testa, icone inconfondibili: dall’“uomo moderno” che campeggia negli allegri manifesti della Facis, al logo senza tempo del vermut Carpano Punt e Mes, passando per l’ippopotamo Pippo protagonista delle réclame della Lines, fino ai divertenti caroselli abitati da Carmencita e Caballero per il caffè Paulista di Lavazza o dagli sferici extraterrestri del pianeta Papalla per Philco. E ancora: l’elefante Pirelli, il rinoceronte Esso, i caroselli in bianco e nero e le pubblicità più recenti.
In questi mondi surreali, così come negli altri materiali presenti in mostra, sono immediatamente ravvisabili i tratti distintivi della comunicazione e dell’arte contemporanea degli ultimi decenni. L’allestimento include anche i manifesti del primo periodo (fortemente pittorici), quadri, fotografie, serigrafie e sculture. Procedendo per suggestioni tematiche, l’esposizione illustra la ricerca del grande pubblicitario italiano, mettendo in luce l’artista a tutto tondo, la cui attività supera l’ambito della comunicazione ed entra in contatto con le energie e le sperimentazioni che hanno segnato gli ultimi settant’anni.
Lungo il percorso emerge quali siano state le fonti alle quali Testa ha attinto in una vorace e costante ricerca della comprensione della vita moderna: Futurismo, Astrattismo, Surrealismo, grandi artisti del ’900. Lampanti: i riferimenti al Bauhaus, per esempio, o gli omaggi a Mondrian e Malevič
Bella, infine, l’idea di spezzare il percorso con filmati in cui Testa racconta curiosi aneddoti che lo riguardano: Testa voce narrante dell’esposizione su Testa. E’ proprio in uno di questi spezzoni di videointerviste che l’artista fa riferimento agli “ismi”. Dice: “chiamiamoli “ismi” tutti i modernismi”.
E proprio questi “ismi” sono il perno attorno a cui ruota l’intero progetto espositivo.
www.museireali.beniculturali.it
“Van Dyck. Pittore di corte”, Galleria Sabauda di Torino, 16 novembre 2018/ 17 marzo 2019. “Tutti gli “ismi” di Armando Testa”, sale Chiablese dei Musei Reali di Torino, 25 ottobre 2018 al 24 febbraio 2019
Immagini © mostra “VAN DYCK. Pittore di Corte”
Antoon van Dyck Ritratto di Lord Balasyse Olio su tela, 102,2×81,2×2,5 cm
Collezione Koelliker Crediti fotografici: Manusardi Art Photo Studio, Milano
Antoon van Dyck Ritratto di Anton Giulio Brignole Sale, 1621-25 Olio su tela, 282×198 cm Musei di Strada Nuova, Genova
Antoon van Dyck Autoritratto Olio su tela, 57×69 cm Private collection, on long-term loan to the Rubens House, Antwerp
Armando Testa, Pippo 1966-1967 vetro resina 130 x 220 x 100 Collezione Gemma De Angelis Testa