Quattro colpi di pistola hanno marcato la storia italiana. Era il 14 luglio 1948. La speranza di una “rivoluzione”, già immaginata dalle formazioni garibaldine durante la guerra di Liberazione, non era ancora del tutto tramontata; icolpi sparati per uccidere Palmiro Togliatti, guida storica (“il Migliore” del Partito comunista italiano) avrebbero potuto, un epilogo diverso, dare alle successive vicende politiche italiane.
Fuggito in Unione Sovietica nel 1926, nel 1937è segretario della Terza Internazionale. Rientra in Italia dopo il luglio ’43. Ministro di Grazia e Giustizia nel secondo governo Badoglio, nel marzo del ’47 promulga la famosa amnistia nei confronti degli ex fascisti. Fervente filosovietico, la storia di Togliatti non manca di ombre che gli suscitarono contro l’ostilità degli avversari politici e contrasti nel partito.
Aprile 1948, PCI e PSI alleati nel Fronte Democratico Popolare perdono le elezioni; vince la DC con il 48,5% dei voti. Due mesi dopo Antonio Pallante, un giovane di estrema destra, spara contro il segretario del PCI ferendolo gravemente; lo credono morto. Nel Paese la notizia dell’attentato vola e converte il cordoglio in dura manifestazione di protesta contro il governo: fabbriche occupate, scontri con la polizia, ricompaiono le armi occultate della Resistenza; secondo il ministro dell’Interno Scelba, in due giorni, i tumulti fecero 16 morti: nove agenti di Ps e sette tra i civili. È Togliatti stesso con i dirigenti del Pci a fare in modo che la violenta reazionenon diventi un moto rivoluzionario.
Il libro di Stefano Zurlo: Quattro colpi per Togliatti. Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia (Baldini+Castoldi, euro 17), rievoca con le parole dell’attentatore – oggi ultranovantenne, all’epoca 24enne studente di legge siciliano, ex seminarista senza collegamenti con movimenti eversivi, esaltato dal clima di scontro generato dalle divisive elezioni dell’Italia post aprile ’48– i famosi colpi di S&W al leader del Pci che nel ’48 trascinarono l’Italia sull’orlo della guerra civile, le successive agitazioni, il presunto ruolodi Gino Bartali che vincendo un’importante tappa del Tour si dice contribuisse a placare gli animi. Pallante fu processato per tentato omicidio volontario; condannato, grazie a riduzioni della pena e a un’amnistia nel 1953, scontò cinque anni di carcere. Poi, gli anni – incogniti – della maturità e vecchiaia.
Il saggiodi Zurlo, scritto con stile giornalistico da inviato di classe quale egli è, cattura l’attenzione su personaggi, ansie politiche e sociali tutt’altro che marginali di settant’anni fa e di più di cinquanta dalla morte del bersaglio (1964), scivolati verso un inspiegabile oblio.
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