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IL BENE DELLA CONOSCENZA

Il 22 ottobre, citando la nostra scuola in una sua nota sul Corriere della Sera, il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo ricordava che nel nostro ordinamento scolastico la scuola media inferiore unificata e gratuita nacque nel 1963. Prima di allora, «non c’era scuole medie nei quartieri operai: i figli dei poveri andavano all’avviamento…. Per quasi tutti i ragazzi Il destino era segnato in base alla nascita e al ceto sociale». Provocatoriamente il giornalista si chiedeva se abbiamo nostalgia di un Paese così.

Argomento spinoso, quello della scuola italiana. Lascio alla pedagogia, alla sociologia, all’etica, alla politica il problema e le possibili soluzioni praticabili, coerenti con l’epoca che viviamo.

Quel che appare è che oggi, raggiunta dall’Italia la condizione di società affluente, i nostri studenti sono più asini dei loro predecessori. La segnalazione viene dalla rivista di settore Tuttoscuola che ha confrontato i dati della ricerca Education and Training Monitor 2019 della Commissione europea sui quindicenni del 2009 e quelli del 2018; secondo il documento, sarebbero circa 130mila gli studenti italiani «incompetenti», cioè insufficienti in lettura, matematica e scienze. In dettaglio: su 565mila ragazzi 118.650 (il 21%) sono risultati incompetenti in lettura, 131.645 insufficienti in matematica (23,3%), 131.080 (23,2%) in scienze. Se si aggiunge che la dispersione scolastica nell’anno 2017/2018 è stata di oltre 100mila studenti, il quadro è sicuramente desolante.

Eppure, malgrado la scarsa preparazione confermata pure dalle Prove nazionali Invalsi (parliamo di competenze fondamentali), la stragrande maggioranza di questi studenti viene regolarmente promossa sia al passaggio dalla terza media, sia alla Maturità. Siamo purtroppo in presenza di una vera “classe degli asini”, destinata a causa della loro incompetenza a incontrare difficoltà nella vita individuale e a rappresentare un fattore di arretratezza (o di mancato sviluppo) in quella sociale. La conoscenza, lo dicevano già trent’anni fa i guru della sociologia e dell’economia, è il fattore vitale della nostra epoca. Un economista poco nominato, Luigi Einaudi, cinquant’anni prima preconizzava: conoscere per deliberare. Un bel po’ prima un toscano rimeggiava: «fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza». Gianni Rodari, apprezzato scrittore e pedagogista: «Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo».

Conoscere infatti non vuol dire soltanto «avere notizia di una cosa, sapere che essa esiste»; significa «avere una cognizione ampia e approfondita di qualcosa, spesso frutto di studi, di letture eccetera», in una parola, essere in grado di intendere. Il contrario dell’incompetenza dichiarata dei nostri studenti. Conseguenza? Per dirla in sociologese: la differenza fra essere autodiretti o eterodiretti.

 

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