BIBBIDI-BOBBIDI-BU

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Bibbidi-Bobbidi-Bu! Esattamente 70 anni fa un colpo di bacchetta magica ai botteghini permise a Walt Disney di risollevarsi economicamente, pagare i debiti in cui era sprofondato dopo la guerra e rilanciare la compagnia con nuovi progetti. Quella magia aveva il nome di Cenerentola, il meraviglioso classico d’animazione, dodicesimo lungometraggio Disney.

Erano trascorsi 13 anni dal successo di Biancaneve e i sette nani e quel genio di Walt Disney scommise nuovamente su una fiaba europea e su una dolce principessa sognante. Così il 15 febbraio del 1950 nelle sale di Boston uscì Cenerentola ottenendo un clamoroso successo e il maggior incasso ai botteghini di quell’anno.

Le canzoni che accompagnano l’animazione, come I sogni son desideri e Bibbidi-Bobbidi-Bu, divennero ben presto molto conosciute e le loro note son scivolate, senza tempo, nei vocalizzi di più generazioni. Il lungometraggio fu pluripremiato: vinse l’Orso d’oro a Berlino ed ebbe tre nomination agli Oscar per il miglior sonoro, per la colonna sonora (la prima a essere protetta dal copyright) e proprio per la canzone Bibbidi-Bobbidi-Bu, che diventò un singolo di successo nel 1949 in cover.

Una scarpetta di vetro persa in una corsa contro il tempo, una zucca che si trasforma in carrozza, le sorellastre e la matrigna, tanti deliziosi animaletti e una simpatica fata madrina hanno reso questa pellicola indimenticabile. Tutta la storia si svolge in Francia, in un giorno e una notte, nel mese di giugno.  Il sontuoso abito da ballo nato dalla bacchetta magica della Fata Smemorina è ispirato a un modello bianco di Christian Dior (come ci racconta Francesca Pellegrini su Vanity Fair), mentre il colore dei capelli di Cenerentola è descritto come «biondo fragola», un colore biondo caldo dai riflessi ramati che è tornato di moda proprio lo scorso anno.

In chiusura un ultimo pensiero va alla Fata Smemorina, che Disney si immaginava così: “dovrebbe avere una voce gentile ma con una certa età. Non la vedo come goffa o stupida, ma piuttosto con un meraviglioso senso dell’umorismo».  Il design della Fata subì innumerevoli cambiamenti nel corso dello sviluppo. Alla fine, l’artista Ken O’Connor trovò l’ispirazione in sua moglie Mary Alice. Disegnò la Fata come, secondo la sua immaginazione, sarebbe stata sua moglie una ventina d’anni dopo.

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