Chi dice il 5, chi il 10, chi il 12, chi il 15 per cento del Pil annuale italiano, quello rappresentato dal turismo. Numeri ballerini (dipende dagli enti e dai metodi di analisi) ma non piccoli, se si considera che per il 2019 il valore del nostro Pil, secondo l’Istat, si attesta sui 1.787,7 miliardi di euro. Attività produttrice di ricchezza, il turismo, e volano dell’economia, settore che quest’anno, complice la pandemia Covid-19, sta conoscendo una crisi profonda che oltre che atterrire getta a terra gli operatori dell’intera filiera.
Il danno è pesante. Dall’inizio della quarantena fino a fine maggio si contano oltre 30 milioni di turisti in meno.
Secondo i dati diffusi da Confturismo ed elaborati dal World Trade and Tourism Council, le perdite sono enormi; nel migliore dei casi per il 2020 si parla di circa 120 miliardi euro in meno.
Le misure per affrontare e contrastare questa debacle? Poche o punte. Come si spiega questa sventura per il nostro turismo? La pandemia coronavirus non è la sola spiegazione. Quella strutturalmente più pertinente, a nostro avviso, sta in un grande equivoco: la gestione a-manageriale del mercato. Spieghiamo: il turismo è visto dal “privato” come speculazione e non come accoglienza; lo Stato ne ha una visione burocratica e stagionale; in generale, gli investimenti (pochi) sono isolati, non programmati e non coordinati.
Qualche numero ci aiuta a guardare con occhio disincantato al fenomeno. Secondo il WTTC, nel 2017 l’impatto complessivo del turismo sul PIL per il nostro Paese è stato pari al 13 per cento, un valore superiore alla media dei paesi UE e dell’economia mondiale nel suo complesso. Anche l’impatto complessivo sull’occupazione è molto rilevante per il nostro Paese: a quella data al turismo erano complessivamente riconducibili quasi 3,4 milioni di posti di lavoro, pari al 15 per cento del totale. Nel 2017 il fatturato turistico è stato di 45,5 miliardi di euro sul mercato domestico e di 37 miliardi di euro su quello internazionale.
Per lo stesso anno, il 2017, Federculture ha stimato in 96 miliardi il fatturato e in 830mila i lavoratori del settore beni e attività culturali. Il 2017 è stato l’anno record anche per i musei italiani: più di 50 milioni di visitatori e 200 milioni di incassi. Con un valore pari a 54 miliardi di euro il turismo culturale (una delle tante forme di turismo) pesa per il 33% circa sul totale dell’economia turistica italiana.
Cenerentola dei ministeri, il turismo. Ci sia concessa una divagazione freudiana: tra abrogazioni (referendum nazionale del 1993) e accorpamenti vari (spettacolo, cultura, agricoltura, di nuovo beni culturali), anche nella sigla del ministero competente il turismo viene per ultimo; indizio, sembrerebbe, di scarsa fiducia da parte sia del “privato” sia del “pubblico” in questa industria dello svago e del tempo libero. Il sociologo Ricolfi ci informa che se ancora nella seconda metà degli anni novanta le vacanze riguardavano poco meno del 50% degli italiani, ora coinvolgono due italiani su tre. Poi c’è l’incoming…
Anche adesso che causa virus moltissimi esercizi commerciali, alberghi, ristoranti, aziende di trasporti stanno per chiudere definitivamente, le misure a favore dei settori colpiti sono un po’ vaghe e di corto respiro. Il ministro Franceschini (Mibact) nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 10 maggio: «ci saranno misure per le imprese: crediti di imposta per gli affitti, ristori per le aziende e gli alberghi che hanno avuto un grande calo di fatturato, allungamento temporale degli ammortizzatori sociali… la misura che aiuterà famiglie e imprese è il tax credit vacanze, un bonus da spendere entro il 2020 in alberghi e strutture ricettive per persone sotto un reddito di 40 o 50 mila euro, stiamo definendo». Bene. E poi? Per il poi ci affidiamo alla giaculatoria tradizionale: le città d’arte… i due terzi del patrimonio artistico mondiale… il clima… le spiagge… le montagne… i laghi… l’enogastronomia… gli eventi… lo shopping…
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