Le parole sono sempre più importanti di quello che sembrano. Se si è donna, in Italia si muore, per esempio, anche di linguaggio. È una morte civile, certo, ma non per questo meno drammatica.
È con le parole che fanno sparire la presenza femminile dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa, proprio attraverso il linguaggio, uccide la possibilità per molte donne, di essere pienamente sé stesse.
A sostenere questa tesi è la nota scrittrice Michela Murgia nel suo ultimo saggio intitolato, non a caso, “Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire piú”, recentemente pubblicato da Einaudi. Si tratta di un vero e proprio decalogo che evidenzia il sottile ma stretto e mortificante legame che esiste tra le ingiustizie che viviamo e le parole che sentiamo. Parole dirette che vengono pronunciate appunto per zittire, sminuire o dileggiare o parole con cui il sesso femminile viene descritto con accezioni negative o luoghi comuni. Senza parlare degli insulti che le donne subiscono nel caso, ad esempio, che ricoprano un ruolo pubblico o politico rilevante.
Quasi tutte le esponenti politiche nostrane hanno dovuto prima o poi fare i conti con insulti e minacce, talvolta molto pesanti, indipendentemente dalle loro posizioni politiche. Anche gli uomini, in politica sono criticati e spesso dileggiati, ma quasi mai minacciati. Laura Boldrini, invece, per citare un caso, quando fu eletta Presidente della Camera dei deputati, dovette subire minacce non solo dirette a sé stessa ma anche ai suoi figli. Di recente, per citarne un altro (e per rispetto della par condicio), Giorgia Meloni è stata insultata apertamente, niente meno che da un professore universitario. Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare apertamente è ancora considerata la più sovversiva, indipendentemente dai concetti espressi e dal loro orientamento politico.
A questo punto qualcuno obietterà: “Ma ormai voi donne siete dappertutto!” E questa, infatti, è proprio un’altra di quelle dieci frasi che le donne sono stufe di sentirsi dire. L’autrice la usa non a caso, come titolo di un intero capitolo. In realtà, nonostante l’Italia abbia anche fatto qualche passo avanti, il nostro Paese resta l’ultimo in Europa, nel sanare il divario di genere, soprattutto in ambito lavorativo. Il mondo del lavoro è, infatti, ancora molto condizionato dagli stereotipi di genere, in particolare in certi ambienti, dove si tendono a premiare quasi esclusivamente caratteristiche considerate tipicamente maschili, come la competitività e a sminuire invece quelle ritenute precipuamente femminili come la collaborazione o il sapersi mettere in discussione.
Proprio sulla base di questi presupposti, l’Università e il Politecnico di Torino propongono, in occasione della Festa della donna, un convegno su “Imprenditorialità e leadership femminile” che si svolgerà online lunedì 8 marzo dalle 10 (modalità di partecipazione su www.polito.it). In questo momento di grande incertezza e difficoltà, la presenza femminile nel mondo del lavoro è tanto fondamentale quanto a rischio. Il contributo delle donne rappresenta, infatti, una leva importante per lo sviluppo e la ripresa del Paese, sia come titolari d’impresa, sia all’interno degli organi amministrativi, ma quali sono, al momento le dimensioni e le caratteristiche di questo fenomeno? E quali le misure di supporto esistenti?
Per rispondere a tali domande, saranno presenti ricercatrici, docenti e rappresentanti dei Comitati di garanzia per le pari opportunità dei due Atenei, ma soprattutto imprenditrici che, testimonieranno delle loro esperienze dirette.
Il network La7 infine, prevede per l’8 marzo, una maratona televisiva dedicata alle donne e alle loro lotte. L’iniziativa denominata appunto “la marcia delle donne” propone 30 ore consecutive di film, documentari, interviste e approfondimenti (per il programma completo basta consultare il sito www.la7.it)
Tornando invece ancora ai libri, ne consiglierei altri due, seppure un po’ più datati, ma in sintonia con quello descritto in apertura, ovvero “Sii bella e stai zitta – perché gli uomini offendono le donne” di Michela Marzano (Mondadori) e “Le donne che leggono sono pericolose” di Stefan Bollman (Piemme).
Mi piacerebbe, per concludere, condividere l’ambizione di Michela Murgia per il suo saggio (ed estenderla anche agli altri due testi che ho scelto di citare), ovvero che tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovandoli su una bancarella, possa pensare sorridendo che per fortuna queste frasi non le dice più nessuno.
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