“Grande è la confusione sotto il cielo” (Confucio). La confusione, ahinoi, regna pure sotto la cupola del Coronavirus. L’evento Covid-19 ha scatenato, come sempre accade in questi frangenti, una miriade di commenti e di critiche sulla sua gestione e contrasto. Non è questo il luogo deputato a renderne conto ai nostri lettori. Qui parliamo del ruolo dei mezzi di informazione di massa e dei socialnetwork nel percorso della comunicazione riguardo all’evento.
Secondo alcuni studiosi della comunicazione, il ruolo dei media è stato distopico (Treccani: distopia = revisione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi). Vediamo perché.
Rinunciando alla critica che un tempo era prerogativa della stampa, nella stragrande maggioranza i media tradizionali offline e online, e i social si sono trasformati in cassa di risonanza delle decisioni assunte dal governo; decisioni che hanno seguito una linea erratica: più poteri al governo (i DPCM); attesa/rassicurazione (nella prima fase i media minimizzano il rischio e criticano il panico collettivo); quando poi le istituzioni corrono ai ripari, ricorso alla tattica governativa del terrorismo informativo preparatoria alla decisione del confinamento (i vari lockdown); un parziale ritorno alla fase rassicurante/ottimista (“ce la faremo”); poi nuovamente terrorismo (la ridondante sequela dei bollettini “di guerra” giornalieri) e via ripetendo il ciclo di campagne vaccinali, omissioni, ritardi, delle ideologie di negazionisti rigoristi aperturisti, dei paladini del lockdown… Poi, e non è poco, la confusione lessicale tra emergenza e crisi, quest’ultima utilizzata quasi sempre impropriamente *.
Questa altalena è lo storytelling adottato dai mezzi di informazione, che così – secondo alcuni studiosi – hanno contribuito a disinformare sulla pandemia concorrendo alla generazione di conseguenze infauste. Facendosi portavoce acritici della comunicazione istituzionale di governo e istituzioni locali rivolta direttamente ai cittadini (pagina Facebook invece della pagina della presidenza del Consiglio dei ministri, per esempio), i media hanno contribuito a generare il consenso alle opinioni apodittiche e non di rado contraddittorie espresse con ridondanza dai numerosi “esperti”: epidemiologi pneumologi virologi infettivologi, opinionisti, giornalisti, influencer ecc. in tv 24 su 24 su qualunque canale.
In questo modo, la sfera del “reale” e la sfera del “percepito dal cittadino” inevitabilmente si sono influenzate a vicenda. Ne è nata «un’opinione pubblica distratta, talora superficiale, ma anche largamente anestetizzata dalla maggior parte dei media, che troppo spesso hanno assecondato le narrazioni ufficiali, rinunciando a raccontare le pur evidenti pecche del “modello italiano”» (Ricolfi, 2021). Col risultato che i mezzi di informazione hanno, non tutti ovviamente, diffuso una comunicazione confusa sia nelle modalità sia nei messaggi. Quando invece ciò che maggiormente serviva era la chiarezza.
* Troppo spesso le parole “emergenza” e “crisi” vengono utilizzate come sinonimi non solo dai media, ma anche all’interno della stessa amministrazione dello Stato […] La mancanza di chiarezza nella distinzione tra le due ha avuto effetti sulle scelte operate in occasione del Covid-19, contribuendo a ricorrere al sistema di protezione civile, e provocando il conflitto tra governo e regioni. (Trancu, 2021)