Spesso l’iconografia delle brochure turistiche ci ha raffigurato foto di anziani pacificamente seduti accanto all’uscio di casa, intenti a rammendare, ricamare oppure a lavorare per costruire quei cestini di vimini, tanto utili e amati, purtroppo testimoni di un tempo che fu.
Sono una figurazione romantica e serena della vecchiaia, sinonimo di territorio incontaminato, compresa l’icona del vecchietto, sempre seduto accanto all’uscio di casa, intento a pensare a chissà cosa, con il mento appoggiato sulle mani ossute e rugose che tengono la cima arrotondata del fido bastone, compagno di una necessaria sicurezza per un procedere incerto.
Se ti fermi a parlare con loro, magari parlando del tempo, sentirai che la frase più ricorrente è quella che: “sta cambiando tutto”. Sentirai pure che: “non ci sono più le stagioni di una volta”, che “tutto è confuso” e che “per questo capitano le disgrazie”, e via dicendo.
Alla fine si dirà che è tutta colpa nostra.
Abbiamo rovinato tutto noi?
Per qualcuno sì, per altri no.
Alcuni scienziati affermano che sono i millenari cicli della terra, un pianeta vivo per nulla statico, che nessuno, neppure gli anni dei vecchietti seduti sullo soglia del loro uscio, può testimoniare di aver visto o vissuto.
Avvenimenti che si alternano in centinaia e/o migliaia di anni, in un avvicendarsi quasi fisiologico di ere glaciali contrapposte a periodi di caldi torridi.
Per altri invece sono le attività umane responsabili dell’accelerazione negativa data ai cicli naturali con un inquinamento incontrollato e irresponsabile.
La terra è viva e indiscutibilmente l’uomo con la sua frenesia economica e commerciale ha contribuito in modo massiccio ai recenti cambiamenti climatici.
Tutto ciò pare sia innegabile, ma se non siamo testimoni diretti delle ere glaciali e di quelle torride, siamo testimoni di cambiamenti che ci toccano da vicino a causa di un clima sempre più bizzoso e violento.
Marco, tuttofare del parco faunistico dell’Appennino Piemontese addossato sui primi contrafforti liguri, ne è consapevole, le stagioni non sono più così marcate come cinquant’anni fa, ma aggiunge e registra pure che i cambiamenti ci sono anche nelle abitudini degli animali selvatici.
Tutto cambia e noi ne siamo i responsabili.
Infatti se solo qualche anno addietro, durante una normale passeggiata nel bosco, si aveva la fortuna di incontrare un gruppo di cinghiali, intenti a razzolare grugnando in cerca di cibo, questi, di fronte all’uomo, come quasi tutti gli animali, sarebbero fuggiti scappando in ordine sparso con grande velocità senza preoccuparsi della direzione.
Importante per questi animali infatti è fuggire più velocemente possibile ed è risaputo che il cinghiale non si ferma di fronte a nulla, non devia ma affronta gli ostacoli a testa bassa.
Oggi le cose sono cambiate radicalmente.
C’è da dire che è sempre conveniente non incontrare una femmina di cinghiale con i piccoli e, qualora si incontrasse, è salutare tenersi a debita distanza perché potrebbe attaccare gli escursionisti inesperti.
Atteggiamenti che non devono farci inorridire perché sono nell’ordine naturale delle cose.
Qualsiasi mamma difende i suoi piccoli anche a costo della propria vita.
E questo non cambia e credo e spero non cambi mai.
Ma vedere i piccoli mammiferi che grufolano intorno ad una madre che immobile ti guarda scrutando ogni tuo impercettibile movimento, per capire se sei o non sei un pericolo per lei e la sua prole, è un’esperienza che in tanti dovrebbero avere la fortuna di poter fare, per capire come il mondo del bosco o se preferite della foresta, è così incantato e davvero ricco di preziosissimi insegnamenti come pare che sia.
Oggi, grazie all’uomo che ha reintrodotto i lupi, i cinghiali, sinonimo di poca grossolana intelligenza, grazie ad una colossale bugia collettiva, basti pensare agli epiteti: “sei proprio un cinghiale”, “non fare il cinghiale” e via dicendo, si sono evoluti al punto che, se sono attaccati, non scappano più in ordine sparso – racconta Marco con ammirazione – ma si raggruppano e si difendono insieme.
In questo modo hanno più chances di non soccombere e di respingere i predatori, proteggendo anche i piccoli al centro del gruppo.
Un cambiamento determinato anche dal fatto che molti escursionisti, portandosi appresso i cani e lasciandoli poi iberi di scorazzare nel bosco (non si possono lasciare liberi nei boschi, nelle aree protette e/o di caccia), hanno aggiunto nuovi contatti domestici a quelli selvatici, provocando la variazione delle abitudini.
Oggi i cinghiali, con queste esperienza alle spalle, non scappano più, ma si chiudono a cerchio per difendersi sia di fronte al lupo che al cane.
E’ palese che il nostro fido amico a quattro zampe viene confuso con il lupo, determinando poi l’atteggiamento protettivo e a volte aggressivo degli ungulati.
I cinghiali infatti, con i caprioli, sono le prede preferite dai lupi, ed evidentemente si sono trovati spesso di fronte a questi predatori, imparando loro malgrado la tecnica difensiva del raggruppamento, in uso comunque tra moltissime specie animali come i bisonti, i bufali, etc, nelle savane africane di fronte a belve ben più agguerrite del lupo comune.
Nulla di nuovo sotto il sole, ma interessante conoscere le abitudini dei selvatici che dividono con l’uomo lo spazio di boschi e foreste.
Sempre a causa dei lupi che non amano la vicinanza degli esseri umani, se non costretti dalla fame nei periodi invernali ad avvicinarsi alle case, i cinghiali sempre più volentieri si avvicinano ai centri abitati e alle città sia, per la facilità di trovare cibo tra la spazzatura sia per occupare territori che danno più sicurezza per la pochissima, se non inesistente, presenza dei predatori.
Uguali cambiamenti nelle abitudini avvengono anche per i caprioli che spesso e volentieri si avvicinano alle case per sentirsi più protetti.
Una testimonianza di tutto questo ci deriva anche dai grossi centri urbani, a Genova per esempio, è ormai consuetudine osservare i cinghiali di giorno nelle periferie e pure nei letti asciutti dei corsi d’acqua che attraversano la città, come il Bisagno e il Polcevera, diventati tristemente famosi per le alluvioni degli anni scorsi.
A Roma poi, li abbiamo visti balzare agli onori delle cronache nei vari “tigi” nazionali, “visitatori” più interessati ai rifiuti cittadini che alle vestigia della città più bella del mondo.
Che dire: bravi cinghiali? Perché no! Sono comunque un indicatore di ciò che succede intorno a noi e di come l’uomo sia lontano dal controllo delle dinamiche fisiologiche della natura.
Una per tutta i conigli in Australia, introdotti nel 1788 il loro proliferare ha causato milioni e milioni di dollari di danni, combattuti con l’inserimento prima delle volpi e poi con la tutela dei dingo per la caccia ai roditori. La lotta si rivelò però un enorme disastro su tutta la linea.
La guerra ai conigli dopo 150 anni di battaglia fu vinta dagli australiani solo grazie alla zanzara che diffuse la mixomatosi e ad un virus, l’RHD, introdotto dall’uomo.
Parlando di virus è meglio fermarci qui, perché se il genere rabbit in Australia, grazie a quel virus è stato decimato, lo stesso agente patogeno, ha causato la nascita di ceppi resistenti alla malattia, richiedendo poi l’introduzione di altre armi chimiche.
Oggi, ancora in regime di pandemia da COVID19, è meglio non fare paralleli di infezioni pandemiche, non è questa le sede, anche se vengono spontanee e naturali moltissime domande. Per il COVID non siamo in grado di sapere ufficialmente cosa sia effettivamente accaduto, salvo registrare i mutamenti del virus con le numerose varianti di cui tutti i media del pianeta parlano.
Panta rei: tutto scorre, profetizzava la dottrina di Eraclito fra il IV e V secolo a.C..
Fermiamoci comunque qui, la figurazione romantica dei vecchietti seduti sulle soglie delle loro abitazioni, ci danno sollievo e un accattivante sorriso beneaugurante, pensando ai cambiamenti delle abitudini degli animali selvatici.
Abitudini che osserviamo anche con gli uccelletti che abitano i nostri giardini, le simpatiche cincie allegre, le cinciarelle e il meraviglioso codirosso, per dirne alcuni, uccelli che preferiscono un manufatto umano posto vicino alla casa, giusto per evitare i predatori.
Infatti, durante tutto l’anno questi uccelli sono quasi invisibili nascosti nel folto degli alberi, ma se all’inizio della primavera trovano una qualsiasi scatola di legno con un buco di qualche centimetro, li troveremo intenti a portare pagliuzze e dopo un paio di settimane potremo essere testimoni di un andirivieni frenetico per portare vermi e insetti alla nidiata nata nella casetta del vostro giardino o del vostro pianerottolo. Sapete perché? Perché anche loro cercano “aiuto” per salvare le loro nidiate dalla voracità di gazze e ghiandaie, note predatrici di nidiacei. Nidificando in nidi artificiali ben chiusi e vicino alle case sono più sicuri.
A difendersi gli animali ci pensano da soli, non dobbiamo cambiare l’equilibrio naturale delle cose, loro non hanno bisogno della spocchia degli uomini, che spesso e volentieri sono solo saccenti e soloni, in virtù del solo fatto che sanno parlare e far di conto.
La casetta, che ho costruito io, è abitata da una coppia di codirossi. Sul trespolo c’è il maschio. La foto è mia.