Secondo commentatori autorevoli il conflitto in corso in Ucraina tra gli altri effetti avrebbe prodotto cambiamenti epocali nella storia, nell’economia, nella politica. Anche nella comunicazione. Quella propagandistica, adottata quotidianamente dalle due parti in guerra. Intendiamoci, da che mondo è mondo le guerre sono una costante della nostra storia e i contendenti di un conflitto armato hanno sempre fatto ricorso alla propaganda (oggi la chiamiamo communication) per acquisire consenso alle proprie tesi offensive o difensive e negare o indebolire quelle dell’avversario: l’Ufficio P dello stato maggiore del Regio esercito italiano nella Grande Guerra con i suoi letterati e scrittori famosi; i giornalisti embedded*con i vari eserciti nelle numerose guerre “asimmetriche” che hanno afflitto il pianeta dopo la Seconda guerra mondiale ne sono testimonianza.
Oggi un esempio palese è rappresentato dalla modalità di guerra mediatica con cui i due leader, Zelensky e Putin, comunicano con i loro pubblici interni (la nazione) e quelli esterni (Paesi alleati e avversari). La loro è sopra tutto una rivoluzione d’immagine: indossando la tuta mimetica o il maglione militare, parlando in tv dalla spoglia war room l’ucraino Zelensky diffonde ‘in diretta’ l’immagine di leader di popolo che incita al combattimento, che non si sottrae alle sue responsabilità anche a rischio della vita. Abile comunicatore, egli diffonde all’esterno un messaggio forte: l’Ucraina linea di resistenza dell’Occidente e delle democrazie liberali all’assalto dell’autocrazia di Putin, narrata come dispotismo sostenuto dalla violenza delle armi.
L’analisi della comunicazione del russo Putin la ricaviamo da Massimiliano Panarari, professore di Sociologia della comunicazione, editorialista de “La Stampa” e del settimanale “L’Espresso”: a giudizio di Panarari, il presidente della Federazione russa «predilige i simboli del potere e della forza: la sua è un’iconografia neozarista, dagli stucchi dorati del Cremlino al noto lunghissimo tavolo che, nel distanziamento fisico tra il presidente-autocrate e la sua stessa élite» che diffonderebbe, confermandola, l’idea tradizionale nella storia russa dell’uomo solo al comando. Anche l’adunata allo stadio Luzhniki di Mosca, sostiene Panarari «con il discorso alla nazione effettuato dal presidente russo (e molta mobilitazione forzata) ha segnalato, una volta di più, come la sua finalità primaria sia la propaganda interna».
In entrambi i casi assistiamo alla ricerca mediatica di un “ingaggio emotivo” di pubblici differenti: mediante la funzione narrativa degli strumenti di comunicazione degli eventi bellici, le parti in causa cercano di sorvegliare il flusso delle informazioni. L’uso crescente in tempo di guerra dei media, dei simboli e dello storytelling rende la comunicazione in tempo di guerra una vera e propria arma strategica.
*embedded = giornalista che lavora in una zona di guerra al seguito di un esercito, accettandone la protezione ma anche le limitazioni imposte alla propria libertà di movimento e di espressione.