La nostra lingua si aggiorna. Si uniforma ai tempi, recepisce i mutamenti della società intervenuti o in corso. È il caso della parola bullizzare. Un verbo la cui presenza nelle cronache quotidiane è in allarmante aumento. Bullizzare significa sottoporre qualcuno a un trattamento fisicamente, verbalmente o psicologicamente violento, usando eventualmente anche la Rete per amplificare l’effetto umiliazione. Problema che sta diventando sociale e, in certi casi, di ordine pubblico.
Bullizzare deriva da bullo = teppista, bravaccio. Bravaccio ricorda i compari svelti di mano di manzoniana memoria; teppista viene da teppa, sostantivo femminile con cui si indica(va) la malavita delle grandi città e anche qualsiasi gruppo di malviventi dediti ad atti di violenza o di vandalismo. Parola che secondo alcuni originariamente deriva dal tedesco bule = “amico intimo”, per altri dall’olandese boel (fratello) e infine dall’inglese bully (prepotente). Fenomeno sociale non nuovo e non solo italiano: teddy boys e hooligans in Gran Bretagna e Olanda; la ligera, i loech e i barabba a Milano; la lingera o lingia nelle campagne piemontesi in genere a indicare “gente che non ha voglia di lavorare”: sbandati, irregolari. E così via proseguendo. Ogni regione italiana ha la sua denominazione originale per definire gli interpreti di questi gesti di violenza. Fenomeno, il bullismo, in crescita sopra tutto fra i giovani e i giovanissimi. Cui fa riscontro la complessiva – in termini statistici – indifferenza delle persone presenti agli atti di prevaricazione e intimidazione spesso impegnate a riprendere con il telefono cellulare ciò a cui stanno assistendo.
Ci sono però eccezioni a questo malcostume voyeuristico. Una recente – è dei primi di ottobre – è quella di una giovane conducente d’autobus di linea di Roma pieno di passeggeri noncuranti di quanto stava accadendo a bordo: un gruppo di ragazzi minacciava un coetaneo. Incurante delle possibili conseguenze personali, Susanna – questo il suo nome – ha deciso di non fare finta di niente ed è intervenuta sottraendo il ragazzino alle minacce dei bulli portandoselo con sé in cabina guida e contattando telefonicamente i suoi genitori, che l’hanno atteso e “recuperato” al capolinea.
Susanna rara avis, certo. Che però ci induce a sperare che il suo esemplare comportamento abbia a trovare sempre più imitatori.