Chi l’avrebbe detto: i nostri pensieri parole immagini e comportamenti possono diventare “virali”. Grazie alla tecnologia e ai mezzi di comunicazione.
Un tempo neanche troppo lontano l’aggettivo virale suggeriva infezioni; oggi, con la complicità dei social media, sul modello inglese viral la parola ha assunto un altro significato, esclusivo: di rapida e capillare diffusione. Si parla infatti di virale, viralità e diffusione virale ogni qual volta una notizia, una fotografia, un brano musicale, più genericamente un’unità di informazione si diffondono con velocità pressoché incontrollabile soprattutto nel web, a denotarne il grande successo di pubblico. Tant’è che oggi “virale” – la conferma viene da Treccani.it – è diventata una “espressione metaforica per indicare un fenomeno di trasferimento di un contenuto pubblicato online a sempre più persone con una diffusione paragonabile a quella del contagio in àmbito biologico”.
Probabilmente però in un futuro prossimo questo temine sarà destinato a mutare ancora significato. Lo pensiamo a seguito della divulgazione di notizie come questa: Neuralink, la start up di Elon Musk è stata autorizzata dalla statunitense Fda (Food and Drug Administration) a testare impianti cerebrali sugli umani. Gli obiettivi di questa ricerca sono nobili, come ha dichiarato il visionario boss nel 2020: «Questi chip devono consentire all’umanità di raggiungere una simbiosi con l’Ai [intelligenza artificiale]» e aiutare le persone paralizzate o affette da malattie neurologiche a comunicare direttamente con un dispositivo esterno attraverso il pensiero. Possibile e lodevole. Tuttavia, a spaventare sono le possibili derive di questi dispositivi. Non è escluso infatti che questi microchip possano diventare la nuova frontiera di interconnessione con l’Ai, l’Intelligenza artificiale, collegamento che permetterebbe anche l’interazione diretta con il pensiero fra due cervelli umani dotati di questi impianti; anche l’eventuale loro controllo da remoto da parte di terzi e, sopra tutto, anche senza convalida autorizzata e una regolamentazione chiara e rigorosa.
Sarà forse pensando a questa inquietante prospettiva che tre settimane fa Geoffrey Hinton, considerato il padrino dell’intelligenza artificiale, ha annunciato le sue dimissioni da Google. Troppo profonda, si dice, la consapevolezza da parte sua che l’ulteriore sviluppo di questa tecnologia potrebbe rappresentare un pericolo concreto. Un allarme non isolato, visto che lo scorso marzo circa mille leader dell’It (information technology) e ricercatori internazionali avevano ufficialmente chiesto una moratoria di sei mesi sullo sviluppo di nuovi sistemi, dichiarati «rischi per la società e l’umanità». Virali, appunto.