Volti e storie di uomini che hanno visto morire i loro cari, di donne che hanno perso i propri figli o sono state stuprate durante le traversate e ancora di ragazzini che vivono in Italia da molti anni con i loro genitori, che non sono ancora stati riconosciuti come cittadini, che a scuola imparano l’italiano ma non hanno gli stessi diritti dei loro compagni.
Sono queste alcune delle vicende che il giornalista Saverio Tommasi racconta nel suo saggio “Troppo Neri” recentemente pubblicato da Feltrinelli, cercando di scardinare i luoghi comuni legati al fenomeno e alle politiche sull’immigrazione. Il testo, corredato dagli scatti del fotoreporter Francesco Malavolta, è il frutto di molti anni di lavoro in viaggio per il mondo e racconta le vicende di molte persone con storie diverse ma con lo stesso denominatore comune, come quella di Ahmed, di origine sudanese, che è approdato su un barcone a Brindisi, insieme a un gruppo di minori non accompagnati. Sono quasi sempre soli, questi bambini, alcuni portano scritto sul risvolto della t-shirt, un numero di telefono.
C’è una sola regola, infatti, fra gli immigrati in partenza: “Non si inizia mai un viaggio insieme a un congiunto”. Troppo rischioso per due fratelli, impensabile per un marito e una moglie. Si separano prima della partenza, dandosi appuntamento all’arrivo e sapendo che magari non si rivedranno mai più. “Questo è un libro che scrivo da vent’anni perché sono vent’anni che provo ad incrociare la mia storia insieme a quella degli altri” spiega l’autore “ho sentito l’urgenza di raccogliere queste storie incontrate lungo i miei reportage in luoghi di sofferenza o accoglienza, per mostrare l’umanità spesso dimenticata”.
Oltre ai migranti che affrontano viaggi spietati e pericolosi, esistono anche le seconde e terze generazioni. Ragazze e ragazzi arrivati in Italia piccolissimi, senza conoscere i Paesi in cui sono nati se non nel racconto delle famiglie, o semplicemente nati sul nostro suolo. Ragazzi e ragazze senza cittadinanza, senza passato, troppo neri per essere considerati italiani, o troppo italiani per essere considerati nigeriani, etiopi o afghani.
“Troppo neri” è un libro che prova a dare una speranza, senza però volerla dare” spiega ancora l’autore “E’ un libro che racconta … nel racconto esiste un’idea di speranza perché un buon racconto è sempre la possibilità di potercela ancora fare”.
C’è da lavorare ancora molto, in Italia e in Europa sul concetto di accoglienza perché “non si accoglie per religione, credo, pietà o fede. Non si accoglie neanche per convenienza o ragionamento. In fondo non si accoglie neanche perché ne hanno diritto, o pensiamo ce l’abbiano. Si accoglie perché sono esseri umani, e noi siamo quella stessa cosa che sono loro. Perché in qualche modo si sta affogando insieme a loro, ogni volta in mezzo al mare”.