“Povere creature” consacra Yorgos Lanthimos nel novero dei geni visionari. Non che nutrissimo dubbi in proposito, soprattutto dopo film come “La favorita” e “The Lobster”, ma quest’ultima pellicola (in originale “Poor things”), che ribalta molte delle concezioni a cui siamo abituati da secoli, è un capolavoro. Non a caso il film ha vinto il Leone d’Oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia e si candida a fare incetta di Oscar.
C’è chi l’ha descritto come una versione gotica di “Barbie” e chi, invece come una rilettura di “Frankenstein”. In realtà si tratta dell’adattamento del romanzo omonimo di Alasdair Gray del 1992. Certo i riferimenti al “Frankenstein” di Mary Shelley sono evidenti. Forse se ne potrebbero trovare anche all’opera letteraria femminista di Mary Wollstonecraft, contemporanea di Jane Austen e madre della suddetta Shelley, ma non ci si deve dimenticare che, nell’intento di ideatori, produttori e regista, questa vorrebbe essere una favola. E per di più una favola a lieto fine. Per tale ed altri motivi, non mi addentrerò – se non per pura casualità – nel dibattito in corso su chi sostiene che sia un film femminista e chi, al contrario, lo ritenga invece addirittura maschilista.
La commedia è brillante e spassosa, romantica e gotica allo stesso tempo, ma Lanthimos la dissemina di provocazioni, ribaltando tutta una serie di sovrastrutture, di schemi mentali o morali e di luoghi comuni a cui siamo abituati. Non è detto che tutto ciò a cui siamo abituati, in quanto prassi consolidata nei secoli, sia per forza cosa buona e giusta. Alcune cose lo sono, altre invece – come certe convenzioni sociali ipocrite – decisamente meno. La questione è comunque piuttosto soggettiva e mi interessa poco.
Ciò che mi interessa, non solo di questa particolare produzione, ma di una nuova tendenza innovatrice in tal senso, è osservare come certe convenzioni, schemi mentali o abitudini sociali – sulle quali ci siamo adagiati probabilmente per consuetudine – siano improvvisamente ribaltate causando, per taluni disagio, per altri entusiasmanti nuove possibilità da scandagliare, ma in ogni caso ci costringono a vedere le cose sotto una luce diversa e inaspettata, o comunque da un’altra prospettiva.
Bella Baxter, protagonista del film (magistralmente interpretata da Emma Stone), è una giovanissima donna, riportata in vita dopo aver tentato il suicidio, gettandosi da un ponte sul Tamigi. Goodwin, che è una sorta di Frankenstein (interpretato da uno straordinario Willem Dafoe), ne recupera il corpo quando è quasi in fin di vita ma non ancora irrigidito dal rigor mortis. Quest’ultimo trapianta nel cranio della donna il cervello di un neonato – quello che lei portava in grembo, al momento del tentato suicidio. Bella è dunque una bimba nel corpo di una giovane donna che si muove in modo incerto e che sta scoprendo il mondo, man mano che acquisisce capacità verbali e motorie. E’ ingenua, diretta, completamente priva di filtri e sovrastrutture, nonché di inibizioni ed è incapace di censurarsi. Come il “buon selvaggio” di Rosseau, è pura e dà per scontate le libertà che la società, governata dagli uomini e per gli uomini, ha invece soffocato.
Il suo creatore la tiene rinchiusa nella sua grande casa con giardino per proteggerla dai pericoli del mondo esterno, la affida ad un assistente che ne monitora i progressi come se fosse un esperimento. A costui, Goodwin propone di prendere in moglie Bella. La ragazza però manifesta sempre più curiosità e ribellione.
E’ anche curiosa nei confronti del sesso, così come poi lo sarà nei confronti di nuovi cibi mai sperimentati prima, o di nuove idee e nuovi libri. Decide pertanto di fuggire con un avvocato senza scrupoli (Mark Ruffalo) che la seduce per avere a disposizione una giovane e bella donna ingenua, disinibita e curiosa a sperimentare qualsiasi piacere sessuale.
Bella, infatti, è incuriosita da ogni cosa perché ha una fame insaziabile nei confronti di qualsiasi nuova esperienza. Seguendo solo il suo istinto, ingurgita cibo fino a non poterne più per poi sorprendersi a vomitarlo o, al contrario, se ciò che mangia non le piace, lo sputa nel piatto, infischiandosene delle reazioni dei commensali accanto a lei. Vuole vedere tutto e sperimentare tutto comprese le cose più degradanti come la prostituzione. Soprattutto come doveva essere negli anni verso la fine dell‘800. Il film è ambientato, infatti, in un’improbabile Europa tardo-ottocentesca che sembra abbia a che fare con un “passato futuristico”, condito con uno stile fantastico che ricorda atmosfere alla Terry Gilliam, con elementi steampunk, sfondi finti e teatrali e un bianco e nero reso tridimensionale dall’utilizzo del fisheye e del grandangolo. I riferimenti a personaggi contemporanei, come Oscar Wilde dovrebbero però non dare adito a dubbi.
Comunque anche quando Bella scopre che potrebbe essere pagata per i suoi “frenetici sobbalzi” (così si riferisce al sesso) – per i quali prova un evidente, quanto apertamente dichiarato piacere – non le passa per l’anticamera del cervello di sentirsi degradata o perduta. Considera anzi la cosa entusiasmante perché le offre nuove possibilità di sperimentare il mondo. Allo stesso identico modo si appassiona alla filosofia, alle letture, agli ideali socialisti, alla chirurgia … Incredibile ma vero prova entusiasmo anche per le difficoltà, la sofferenza e il degrado, come cose da esperire per raggiungere la saggezza. Il bordello parigino in cui finisce, ad un certo punto della storia, diventa per lei addirittura simbolo di indipendenza e libertà.
Per citare una battuta centrale del film, Bella è “una giovane donna che traccia la propria rotta verso la libertà”, un personaggio quindi del tutto “incantevole”.