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COME NON DETTO

Allarme: non solo non si “usa” più la nostra lingua. il rischio è che non si parli proprio più, che i nuovi strumenti di comunicazione siano… i geroglifici figli della tecnologia. Andiamo con ordine: il vocabolario di base consta di circa 6500 parole, e il “lessico fondamentale” cioè quello quotidiano che usiamo per i nostri discorsi, soltanto di un terzo: 2000. In pratica, quotidianamente utilizziamo meno dell’1% del nostro vocabolario. I giovani: varie statistiche indicherebbero che un ragazzo scolarizzato – un diciottenne diplomato, per intenderci – nel 1975 di quelle duemila parole circa ne conosceva più o meno 1500, mentre oggi ne conosce soltanto 650. Attenzione: conosce, non utilizza. A chi / a che cosa attribuire la colpa? Lasciamo agli specialisti l’indagine e la risposta. Limitiamoci a riportare dati di una recente ricerca, il «Digital report» di We Are Social: l’88% della popolazione italiana possiede una connessione Internet; gli italiani trascorrono on line circa sei ore al giorno in media, per la maggior parte del tempo alla ricerca di informazioni, spesso in formato video o podcast; il resto del tempo lo dedicano a utilizzare i servizi digitali come WhatsApp – il più usato anche se si scrive sempre meno a favore di messaggi vocali (non di rado incomprensibili). Poi i social, come TikTok, il primo in classifica, che è solo video. Facebook, che è in discesa: prima leggevano i fatti degli altri, ora preferiscono guardarli. Altro utilizzo in crescita: i servizi di shopping on line. Secondo un’altra ricerca, il restante del tempo trascorso ‘navigando’ gli italiani lo trascorrerebbero guardando video, giocando, ascoltando musica.

Come si vede, se quanto riferito sin qui è verosimile, la maggioranza assoluta degli italiani (qualcuno si spinge sino a dire quanti sarebbero: il 91%) ‘comunica’ in modo totalmente differente da quello usato in precedenza, diciamo fino alla fine del secolo scorso. Nasce il sospetto che non sono abbandonate soltanto le parole, persino la scrittura stia per essere soppiantata dagli ideogrammi delle app tecnologiche. Autorizzando un pensiero allarmante: la riduzione abitudinaria della scrittura e della parola – giacché i due fenomeni sono socialmente interdipendenti – potrebbe verosimilmente condurre a una pericolosa atrofia del nostro muscolo più importante: il cervello. Del resto, la sperimentazione – autorizzata – dell’implantologia intracranica di un microchip è già in atto (Usa, Elon Musk docet). Allora: allarme ingiustificato? Chissà. Certo non è una novità. Per esempio, già Pier Paolo Pasolini, intellettuale profetico, dichiarava: «allo sviluppo, preferisco il progresso». Cinquant’anni fa.

 

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