L’occasione per parlarne mi viene dalla lettura – un po’ impegnativa, ammetto – di un recente libro su un argomento di stringente attualità: l’intelligenza artificiale (AI, come viene spesso indicata). È ChaptGPT non pensa e il cervello neppure, saggio di Miguel Benasayag in dialogo con Ariel Pennisi (Jaca Book, 2024). Lascio al suo autore la spiegazione del contenuto: «Non stiamo parlando di distruggere le macchine o di frenare qualcosa, ma della necessità di un pensiero e di pratiche che sviluppino forme di ibridazione contro la crescente colonizzazione digitale». Ecco, l’argomento è questo: la recente diffusione di massa di ChaptGPT-4 ipoteca profondamente spazi di vita, ricerca scientifica, capitalismo algoritmico e impegno politico comune. Come detto, più attuale di così…
L’argomento impone una riflessione tra le numerose altre: la necessità di difenderci da più rischi. Quelli connessi all’AI medesima (ci sono, inutile ignorarlo), e da quell’altro non meno dannoso costituito dai leoni da tastiera (dall’inglese keyboard warrior, più propriamente ‘combattente da tastiera’). Da quegli individui cioè che operando nell’ombra della rete si distinguono per il loro comportamento aggressivo e offensivo, dichiarato attraverso commenti, messaggi e interazioni online. Nell’età dell’antropocene, i ‘leoni da tastiera’ costituiscono un fenomeno sempre più diffuso dell’era digitale.
Ma chi sono davvero questi individui famosi per la loro predilezione a esprimere opinioni aggressive, offensive o volgari, proteggendosi dietro l’anonimato online? A mio avviso sono le vittime prime della loro stessa ineducazione. Che sfogano sui loro bersagli preferiti: celebrità, figure pubbliche, le donne, le minoranze etniche, le persone in qualche modo marginalizzate. Soprattutto su chi osa esprimere opinioni sociali controverse.
Vittime perché, a dirla tutta, il loro è un tipico comportamento da wèbete, parola composta dai termini ‘web’, abbreviazione di world wide web (‘ragnatela mondiale’ spesso, indicato anche come www), sottorete di Internet. Ed ‘ebete’: ottuso. È utilizzato prevalentemente come epiteto ingiurioso. Nel caso dei leoni da tastiera, giustificato. Ampiamente.